“Lei e sua madre sono riuscite a scappare, ma il padre e il fratello sono stati arrestati e rischiano il rimpatrio”, racconta Filippo Miraglia, responsabile immigrazione di Arci. La ragazza è un’attivista per i diritti, fuggita dall’Afghanistan insieme alla famiglia dopo che i talebani hanno ripreso il potere nell’agosto del 2021. Da allora 600 mila afghani hanno trovato riparo in Pakistan, ma il governo ha riformato la legge sull’immigrazione e intimato a tutti gli irregolari di tornare nel proprio paese. L’ultimatum è scaduto il 31 ottobre e gli arresti finalizzati al rimpatrio hanno scatenato il panico. Decine di migliaia si sono messi in marcia, ma per tanti rientrare in Afghanistan equivale a una condanna ed è così anche per la ragazza di cui parla Miraglia e i suoi parenti, liberati solo dopo l’intervento della nostra ambasciata su sollecito dall’Arci: “Hanno raccontato che le carceri pakistane sono piene di afghani e che vengono trattati malissimo”. L’ambasciata si è mossa perché la ragazza e i suoi famigliari sono sulla lista delle persone alle quali l’Italia ha promesso un corridoio umanitario, un volo da Islamabad per lasciarsi alle spalle la paura. Gocce nel mare: dal 2021 i corridoi umanitari hanno portato in Italia appena 800 persone e, come non bastasse, ci si mette anche la burocrazia. Per il corridoio umanitario che insieme a questa ragazza dovrebbe portare in Italia altre 400 persone, Arci, Sant’Egidio e Chiesa Valdese si sono mossi a febbraio. Dopo nove mesi, il colmo: a ottobre si sono sentiti dire che il capo del dipartimento immigrazione del Viminale sta andando in pensione e per la firma del via libera tocca pazientare e attendere il sostituto, alla faccia di chi rischia la pelle.

Nel 2021 le truppe occidentali hanno lasciato l’area, restituendo l’Afghanistan ai talebani. I Paesi europei si sono subito impegnati per accogliere 36 mila persone attraverso corridoi umanitari, ma ad oggi la promessa non è ancora stata mantenuta del tutto. Anche l’Italia si è attivata, con un protocollo sui corridoi umanitari per 1.200 persone, a partire da quelle maggiormente a rischio. Tra lungaggini burocratiche e qualche scaricabarile sui fondi, nessuno ha lasciato l’Iran o il Pakistan prima dell’estate del 2022. E i soldi per i primi voli hanno dovuto metterli Caritas, Chiesa Evangelica Valdese, Comunità di Sant’Egidio e Arci, che ad oggi hanno portato in Italia e accolto a proprie spese 800 persone. Le restanti 400 persone? Sono quelle a carcico dello Stato italiano, ma due anni dopo ne sono arrivate solo 121 e, precisa il Viminale, altre 170 attendono l’autorizzazione del Pakistan. Parliamo comunque di numeri piccolissimi. E tuttavia sono l’unica speranza per tanti afghani: donne, attivisti, giornalisti, persone lgbtqia+, magistrati e in generale chi ha lavorato al fianco di organizzazioni occidentali fino al 2021. Tutti entrati nel panico dopo la stretta del Pakistan, dove per chi ha il visto scaduto c’è l’arresto e l’espulsione.

Esaurite le loro quote, a febbraio Valdesi, Sant’Egidio e Arci hanno chiesto al Viminale di poter portare in Italia altre 400 persone. “Noi abbiamo scelto di dedicarci alle donne a rischio, tra quelle segnalateci dalle organizzazioni umanitarie italiane che hanno lavorato e lavorano in Afghanistan: soltanto a noi sono arrivate oltre 4mila richieste“, spiega Miraglia dell’Arci, che lo scorso anno è stato in Iran e Pakistan per organizzare i voli dei corridoi umanitari. La quota aggiuntiva era prevista dal protocollo e l’ok è arrivato già a febbraio. A maggio sembrava tutto pronto, invece si è bloccata ogni cosa, con l’aggiunta di un’incertezza sui fondi che ha innescato un rimpallo tra il ministero e l’OIM, l’Organizzazione internazionale per l’immigrazione. Così da febbraio sono passati nove mesi ed è arrivato all’autunno. Manca ancora il via libera definitivo che spetta al titolare del dipartimento Libertà civili e immigrazione del Viminale, il prefetto Valerio Valenti , che nel frattempo è giunto alla pensione.

Così, mentre in Pakistan chi è sulla lista del corridoio umanitario viene arrestato e rischia il rimpatriato, in Italia tocca addirittura aspettare il nuovo capo dipartimento, come è stato spiegato all’Arci quando è tornata a chiedere informazioni al ministero. “Il ministro Matteo Piantedosi non poteva decidere di andare avanti lo stesso?”, si interroga Miraglia mentre quotidianamente riceve messaggi da chi è in Pakistan e ormai teme il peggio. “L’ambasciata italiana ha messo ora a disposizione un numero di telefono, per intervenire presso le autorità pakistane per quanti sono nelle liste dei corridoi approvati. Ma il tempo stringe”, avverte. Finalmente, è il 3 novembre 2o23, arriva la decisione del governo. Al posto di Valenti andrà il prefetto Laura Lega, attuale capo dipartimento dei Vigili del fuoco, del Soccorso pubblico e della Difesa civile del ministero. A lei firmare il via libera e sbloccare i voli, e magari recuperare l’enorme ritardo. Vedremo quanto ci vorrà.

E speriamo non sia tardi, perché in due anni 1,6 milioni di persone sono fuggite in Iran e Pakistan, dove è l’85% di tutti i rifugiati dall’Afghanistan e vivono oltre 8 milioni di afghani. Ma “il capitolo pakistano dell’appello per il finanziamento del Piano di risposta ai rifugiati (RRP) è finanziato solo per il 27%, con 104,17 milioni di dollari ricevuti su 383,76 milioni di dollari richiesti a fine settembre”, scrive l’UNHCR, l’agenzia Onu per i rifugiati, nel secondo rapporto del 2023. Dopo aver riconsegnato il Paese al regime talebano, l’Occidente si era preso degli impegni. “Non abbandoneremo gli afghani”, aveva detto anche l’allora ministro degli Esteri Luigi Di Maio il 15 agosto 2021. Due anni dopo non arrivano nemmeno gli aiuti e questo, spiega l’Unhcr, ha spinto Iran e Pakistan a rivedere le proprie politiche di asilo e ad espellere gli afghani, anche incarcerandoli e vietando a chiunque di affittare una casa agli irregolari. A rischiare il rimpatrio sono milioni di persone. Secondo l’Onu, quelle senza documenti sono 500mila in Iran e 775mila in Pakistan, ma un censimento dettagliato è impossibile perché molti vivono in clandestinità contro il rischio di abusi e incarcerazioni. Crisi umanitarie che ne contengono altre e ne producono di nuove. Ma in Italia sembra possano aspettare.

articolo aggiornato alle 13.40 del 4 novembre 2023

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