Lavoro da oltre 30 anni alla preparazione e alla analisi dei business plan per le potenziali start up, in quel processo di elaborazione di una strategia che serve a verificare se è conveniente trasformare una idea in business. Nel corso dei colloqui e delle prime interpretazioni del concept del business ci si ritrova spesso di fronte ad una consapevolezza basata sul presupposto faremo di tutto e di più”.

Ad esempio, ultimamente mi sono imbattuto in uno startupper che aveva intenzione, cogliendo l’opportunità del notevole incremento di turismo basso-spendente nel centro storico di Napoli, di aprire un attività di fast food nel centro storico di Napoli offrendo un prodotto (panino) personalizzato al momento. Difficilmente ho incontrato startupper che tenessero ben presente quanto sosteneva l’economista americano Michael Porter: la strategia definisce “cosa fare”, ma soprattutto “cosa non fare”.

Un posizionamento strategico sostenibile nel tempo è il risultato di un processo di trade off rispetto ad altri posizionamenti: l’azienda deve scegliere quali attività fare, ma soprattutto quali attività non fare perché non compatibili con la sua identità competitiva.

La strategia “fast-food” di quell’ imprenditore che voleva aprire un locale al centro storico di Napoli non era coerente con la preparazione di panini personalizzati sul gusto del singolo cliente: la personalizzazione dei panini avrebbe richiesto tempi di attesa troppo lunghi con notevole incidenza sui livelli di ricavi necessari per la sostenibilità del business.

E’ vero che il principio del trade off vale anche per le imprese già operanti ma per le start up acquista un valore maggiore. Le nuove imprese hanno, infatti, vincoli più stringenti rispetto alla imprese già avviate, in quanto hanno limitate disponibilità finanziarie e dispongono di poche persone. Proprio per fare un uso efficiente delle scarse risorse, le start up hanno bisogno di una chiara strategia che definisca cosa non fare, ossia quali sono le scelte che non devono essere nemmeno prese in considerazione. In altri termini, la strategia deve aiutare l’imprenditore a selezionare i percorsi d’azione da intraprendere, escludendo quelli che offrono solo immediate possibilità di business, ma non hanno le potenzialità di generare un posizionamento sostenibile nel tempo. Nonostante la centralità della strategia per il successo di qualsiasi azienda, i vari movimenti legati al mondo delle start up spesso enfatizzano troppo i concetti di creatività, sperimentazione e agilità (spesso assunti, erroneamente, come la quintessenza dell’imprenditorialità), cancellando di fatto il ruolo della strategia pianificata.

Senza strategia, l’imprenditorialità diventa una sperimentazione continua di idee con la speranza di trovare, prima o poi, l’Eldorado che è il sogno di qualunque imprenditore.

Insomma, l’imprenditorialità assomiglierebbe a un ciclo di scommesse, ancorché controllate. Il punto è che la sperimentazione da sola non è sufficiente. Da un lato, le idee veramente innovative richiedono ingenti investimenti iniziali, che non si conciliano con veloci cicli di sperimentazione di differenti versioni del prodotto. Dall’altro, è molto probabile che veloci test di mercato, basati su una risposta immediata dei clienti, non permettano di valutare la sostenibilità di un lungo periodo della business idea. La scomparsa di qualsiasi forma di pianificazione strategica dal cruscotto gestionale di un imprenditore può quindi portare al fallimento dell’idea business. La strategia deve servire a definire i confini dell’azione competitiva dell’impresa. All’interno di questi confini, si svolge il processo di apprendimento “sperimentale” che permette l’adattamento continuo delle scelte dell’impresa rispetto alle dinamiche di mercato.

La strategia serve, quindi, a delimitare lo spazio all’interno del quale sperimentare nuove idee. La contrapposizione tra strategia e sperimentazione continua è quindi solo apparente e, di fatto, fuorviante. Nella realtà le imprese hanno bisogno sia di chiare scelte strategiche, derivanti da un processo deliberato di analisi, sia di agilità, derivante dalla sperimentazione continua delle azioni messe in campo.

Il “cuore” del mestiere dell’imprenditore è proprio trovare il giusto mix tra queste due opposte attitudini di governo d’impresa.

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