A Gaza la situazione è difficilissima e per le persone con disabilità lo è ancora di più. Le associazioni hanno già chiesto che vengano garantiti corridoi umanitari inclusivi per tutti, ma al momento non è stato realizzato nulla di tutto ciò.
“Si sono persi i contatti con oltre mille persone disabili seguite dal Centro per la Vita indipendente di Gaza City”– Dal 7 ottobre si sono persi i contatti con gli oltre mille utenti non autosufficienti del Centro per la Vita indipendente di Gaza City, unica struttura solidale di questo tipo nell’area in grado di offrire assistenza, inclusione scolastica, sostegni psicologici, percorsi di autonomia a favore delle persone disabili. “Non si riescono ad avere informazioni aggiornate, a causa delle difficoltà nelle comunicazioni. Sappiamo che almeno un ragazzo e una ragazza con disabilità motoria seguiti dal Centro sono stati uccisi durante i bombardamenti assieme alle loro famiglie nelle rispettive case. Temiamo che molti altri abbiano subito lo stesso destino o siano stati feriti gravemente, a causa delle difficoltà maggiori che le persone con disabilità affrontano durante eventuali evacuazioni, che portano a minori possibilità di sopravvivenza”. A denunciarlo a ilfattoquotidiano.it è Yousef Hamdouna, attualmente direttore dell’Area Gaza di EducAid, ong riminese che ha fondato il Centro.
La struttura è stata creata nel 2018 da EducAid insieme alla Rete italiana disabilità e sviluppo (Rids) ed è stata inizialmente finanziata dal governo italiano con il progetto “I Can”. Il progetto è terminato nel 2022, e nello stesso anno il Centro ha visto l’inizio di una nuova fase perché è stato registrato come organizzazione locale di persone con disabilità, attualmente gestito in maggioranza dalle stesse persone disabili formate e professionalizzate che erano state coinvolte nel progetto. Qui il motto delle lotte in difesa dei diritti delle persone disabili è più che mai messo in pratica: “Nulla su di noi, senza di noi”. Il Centro è da 5 anni l’unico punto di riferimento per le persone con disabilità a Gaza. Yousef è nato a Gaza City nel 1981, tra il 2007 e il 2010 ha vissuto in Italia, dove è nata la prima delle sue due figlie. Prima di diventare un cooperante è stato oltre un decennio fa anche un beneficiario dei progetti EducAid attraverso una figlia con disabilità intellettiva e considera il proprio un “caso riuscito di empowerment (crescita dell’autoconsapevolezza, ndr)”. Adesso gestisce tutti i progetti EducAid nella Striscia. Il Centro rappresenta da cinque anni un punto di riferimento assoluto per le persone con disabilità che vivono nell’area più densamente abitata del mondo.
Gli operatori del Centro: “Difficoltà nel trovare acqua, cibo e medicine. Viviamo un elevatissimo livello di sofferenza psicologica” – “Non abbiamo notizie certe sugli uffici e sugli spazi da noi gestiti, anche se temiamo danni gravi alle strutture poiché si trovano a Gaza City, dove si concentrano gli attacchi dell’esercito israeliano”, dice Hamdouna. Come stanno gli operatori? “Gran parte di loro hanno perso diversi famigliari e molte delle loro case sono state distrutte o pesantemente danneggiate. Molti sono riusciti a spostarsi dal Nord e da Gaza City verso il Sud, dove si trovano in condizioni disumane e comunque esposti ai bombardamenti, ad esempio presso le scuole UNRWA o le sovraffollate case di altri parenti”, fa sapere il direttore. Alcuni degli operatori non sono riusciti a spostarsi, anche perché la maggior parte di loro sono persone disabili e si trovano bloccati attualmente a Gaza City sotto un assedio sempre maggiore. “Tre di loro – continua Yousef – sono sfollati in due ospedali, dove rischiano ogni giorno la morte a causa dei bombardamenti israeliani che in questi giorni si sono intensificati anche con attacchi contro gli ospedali. Altri due si trovano presso la propria casa a Gaza, nelle zone in cui si stanno svolgendo gli scontri urbani a seguito dell’invasione di terra delle forze armate di Tel Aviv”. Cosa vi comunicano? “Tutti, al Nord come al Sud, riportano estreme difficoltà nel reperire medicine, cibo, acqua e un elevatissimo livello di sofferenza psicologica”.
“Mia mamma e i miei parenti sono a Rafah, si sentono già condannati a morte” – Yousef si trova temporaneamente a Rimini insieme alle figlie perché rimasto “bloccato” in Italia dallo scoppio della guerra. E’ angosciato e i suoi pensieri sono rivolti alla mamma, ai parenti e agli amici sotto le bombe. “I miei familiari si trovano nelle stesse condizioni dei miei colleghi del Centro e delle altre persone nella Striscia” racconta a Fatto.it. “Si trovano a Rafah, vicino al confine con l’Egitto, in più di 50 in due piccoli appartamenti”. La situazione che gli viene descritta è disperata. “Cercano acqua e cibo giorno per giorno, ma non lo trovano e gli adulti non mangiano per lasciare ai figli quel poco che trovano. Mi riferiscono che si sentono condannati a morte, in attesa dell’esecuzione”.
Il presidente di Rids, organizzazione fondatrice del Centro: “Non c’è nessuna garanzia che possa riaprire, serviranno ingenti donazioni esterne” – Il Centro si rivolge a tutti senza distinzione di genere, età o disabilità. La maggioranza sono adulti con disabilità motoria o sensoriale, principalmente donne. Nell’ultimo anno i servizi si sono rivolti molto anche a minori disabili, per favorire l’inclusione nella vita scolastica. Contattato dal Fatto.it Giampiero Griffo, presidente della Rids, tra i fondatori del Centro intitolato a Rita Barbuto scomparsa nel 2022, spiega che “l’ente nasce per valorizzare le persone con disabilità nella cooperazione internazionale formato peer counsellors (consulenti alla pari, ndr), che aiutano altre persone nella loro stessa condizione a crescere in consapevolezza, autonomia e partecipazione”. La struttura è gestita da 18 peer counsellors, 2 operatori sociali e 2 terapisti occupazionali. Il Centro, tra le varie cose, attraverso una stampante 3D forniva ausilii di varia natura sia nel campo della vita quotidiana sia per l’inclusione scolastica, “aveva acquisito una propria autonomia gestionale e stava diventando un volano per altre attività in Palestina”, aggiunge Griffo che ad agosto ha visitato la sede a Gaza City. “Si era già ipotizzato di utilizzare l’expertice dei consulenti alla pari per formare altre persone con disabilità in progetti nei Paesi limitrofi e promuovere scambi con altri Centri analoghi in Europa e nel mondo”. Prospettive future? “Purtroppo vediamo molte problematiche e non c’è nessuna garanzia che possa riaprire se non con un intervento rilevante di donatori esterni”, risponde.
“Non sono rispettate le raccomandazioni Onu di protezione delle persone con disabilità” – La guerra colpisce tutti indiscriminatamente ma senza dubbio la situazione delle persone non autosufficienti è gravissima. Griffo parla di “disastro umanitario al limite del genocidio in generale per la popolazione della Striscia e sono limitatissimi gli aiuti umanitari”. Ci si aspetta una maggiore attenzione per le persone con disabilità, ma questo non sta avvenendo andando contro il diritto internazionale. “Nonostante le raccomandazioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu di proteggere in particolare le persone con disabilità nei conflitti armati, le attuali strategie di combattimento utilizzano bombardamenti e droni che hanno cancellato la responsabilità etica e morale dei vari contendenti”. Ancora una volta chi dovrebbe essere maggiormente aiutato viene lasciato solo. “Le persone con disabilità sono una popolazione poco visibile e spesso si dimentica che le guerre hanno aumentato in modo significativo la popolazione con disabilità”, conclude Griffo.