Prima devono essere compiuti tutti gli “sforzi per riportare calma e stabilità” a Gaza, poi dovrà essere avviato il processo per il riconoscimento di uno Stato di Palestina. E a guidarlo non potrà che essere l’Autorità Nazionale palestinese. È questo il quadro che emerge dal bilaterale tra il presidente dell’Anp, Abu Mazen, e il segretario di Stato americano, Antony Blinken, a Ramallah, mentre nella Striscia il numero delle vittime dei bombardamenti israeliani continua a crescere. Un progetto, quello appena accennato nel corso della conferenza stampa congiunta, che però è ben lontano dal concretizzarsi. Se si esclude il fatto che “sradicare” Hamas e l’estremismo alimentato da un’occupazione decennale non sarà così semplice come Tel Aviv vuol far credere, resta il problema dei confini da stabilire. E su questo il leader palestinese non sembra avere intenzione di negoziare e rischiare di perdere ancora più consensi: lo Stato di Palestina non può che comprendere Gaza, Gerusalemme Est e la Cisgiordania secondo i confini precedenti al 1967, ha chiarito.
L’Anp, ha dichiarato il presidente Mahmud Abbas, “si assumerà tutte le sue responsabilità” per la Cisgiordania, Gerusalemme est e Gaza nel quadro “di una soluzione politica globale“. Parole che sembrano confermare una delle intenzioni palesate nel documento prodotto dal ministero dell’Intelligence israeliana che, tra le varie opzioni, aveva considerato anche quella di favorire l’instaurazione di un nuovo governo guidato dall’Anp a trazione Fatah. Anche gli Stati Uniti, nei giorni scorsi, erano stati chiari: “Non c’è posto per Hamas nel futuro governo di Gaza”. Ma il piano ha alte probabilità di risultare fallimentare senza un naturale processo politico, come dimostrano anche i precedenti più recenti, Iraq e Afghanistan in testa. L’Anp, di fatto, non è presente nella Striscia dal 2006, quando perse le elezioni proprio in favore di Hamas che non ha più mandato la popolazione al voto. L’imposizione di un esecutivo a trazione Fatah rischierebbe di dar vita a un governo asserragliato nei palazzi del potere, senza alcun riconoscimento popolare, alimentando così la nascita o la crescita di altri gruppi estremisti.
Inoltre, resta da capire su quali basi le parti abbiano iniziato a trattare la transizione, con Israele che rimane sullo sfondo impegnata ancora nei raid sulla Striscia. Abu Mazen nelle sue dichiarazioni è stato chiaro: “La sicurezza e la pace si ottengono ponendo fine all’occupazione israeliana del territorio dello Stato di Palestina, con la sua capitale Gerusalemme est, ai confini del 1967” che comprendono quindi la Cisgiordania senza le colonie, la Striscia di Gaza e Gerusalemme est. Aspirazioni che dovranno superare l’opposizione di Israele che solo gli Stati Uniti possono provare ad ammorbidire. Al momento, secondo le risoluzioni delle Nazioni Unite, Gaza rimane un territorio occupato a causa del blocco imposto da Tel Aviv sui movimenti di persone e merci, mentre in Cisgiordania vivono circa 700mila coloni in avamposti illegali che non sono disposti a lasciare quelle terre.
Abbas precisa anche di non condividere le modalità usate da Israele per “sradicare Hamas” col sostegno proprio degli americani. Perché la soluzione all’estremismo non sono le armi: “L’occupazione israeliana ha la piena responsabilità di tutto ciò che accade e le soluzioni militari non porteranno alla sicurezza di Israele – ha detto – Non ci sono parole per descrivere la guerra di annientamento e distruzione a cui il popolo palestinese di Gaza è sottoposto dalla macchina da guerra israeliana, senza alcun riguardo per il diritto internazionale. Le forze di occupazione uccidono e attaccano ogni giorno, insieme alla violenza dei coloni”. Il presidente ha inoltre chiesto “la sospensione immediata della guerra devastante e l’accelerazione della fornitura di aiuti umanitari, compresi medicinali, cibo, acqua, elettricità e carburante a Gaza. Come possiamo rimanere in silenzio sull’uccisione di 10mila palestinesi, tra cui 4mila bambini, decine di migliaia di feriti e la distruzione di decine di migliaia di unità abitative, infrastrutture, ospedali, centri di accoglienza e serbatoi d’acqua? Ciò che sta accadendo in Cisgiordania e a Gerusalemme non è meno orribile, in termini di uccisioni e attacchi a terre, persone e luoghi sacri, per mano delle forze di occupazione e dei coloni terroristi che commettono crimini di pulizia etnica, discriminazione razziale e depredando i beni”.
Decisamente meno nette le affermazioni in merito di Blinken. Il segretario di Stato condanna la violenza dei coloni, sottolineando la necessità di “fermare la violenza estremista contro i palestinesi e fare in modo che i responsabili siano chiamati a risponderne”. Poi si oppone al progetto israeliano di pulizia etnica nella Striscia, con il trasferimento di milioni di civili in Egitto: i palestinesi “non devono essere sfollati con la forza“, ha detto aggiungendo che rimane “l’impegno degli Stati Uniti alla fornitura di assistenza umanitaria salvavita e alla ripresa dei servizi essenziali”. Per farlo, però, devono convincere Israele a cessare il fuoco.