La “favola” dei Dear Jack è iniziata nel 2014, durante la tredicesima edizione di “Amici di Maria De Filippi”. Erano i vincitori annunciati, ma portarono a casa il Premio della critica. Quell’anno vinse Deborah Iurato. Poi la corsa verso i palazzetti, i dischi d’oro e di platino, il Festival di Sanremo, l’Arena di Verona. Forse troppo per il frontman Alessio Bernabei e i suoi compagni Riccardo Ruiu, Francesco Pierozzi, Alessandro Presti e Lorenzo Cantarini. Alla fine erano ventenni alle prese con un meccanismo più grande di loro. Nonostante vari tentativi di riconciliazione il divorzio con Alessio arriva nel 2015.
Così il chitarrista Cantarini diventa il cantante per poi essere affiancato prima da Leiner Riflessi e poi da Pierdavide Carone. Ma i Dear Jack non erano più i Dear Jack. Così, complice dieci anni di crescita personale, terapie, porte sbattute in faccia e il ritorno alla realtà, Alessio torna in famiglia (Cantarini se ne va) e nascono i Follya. La band ha pubblicato il primo disco omonimo e tornerà live l’8 novembre al Largo Venue di Roma e il 9 novembre all’Apollo di Milano. Abbiamo incontrato Alessio e Alessandro.
Dal vostro ultimo disco insieme come Dear Jack “Domani è un altro film” (2014) a “Follya”, cos’è cambiato?
Alessio: Siamo cambiati noi, sono passati esattamente dieci anni. Siamo cambiati moltissimo, abbiamo un bagaglio di esperienze più grandi e in dieci anni abbiamo fatto cose diverse, anche musicali da soli. Tutto questo si è riversato sia sui testi che sulle musiche.
Alessandro: L’esperienza dei Dear Jack ci ha cambiati. Quando è finito tutto abbiamo vissuto esperienze che ci hanno portato ad una maturità tale da desiderare di tornare a condividere tutto.
Chi siete oggi?
Alessio: Ho ritrovato persone che non conoscevo perché quando abbiamo iniziato ad Amici eravamo più piccoli e senza alcuna esperienza. La cosa assurda è che quando ci siamo ritrovati abbiamo capito che siamo molto più simili di quanto pensassimo più di dieci anni fa. Questa cosa non l’avevamo capita.
Alessandro: Oggi siamo senza filtri, liberi da ogni schema discografico. Dopo il Covid abbiamo deciso di ritrovarci in studio ed è scattata la scintilla. Siamo diventati la band che avremmo dovuto essere all’inizio.
Spenti i riflettori, cosa è successo nelle vostre vite?
Alessio: Abbiamo fatto lavori diversi. Io ho attraversato un periodo di difficoltà durante la pandemia perché l’ho vissuta da solo a Milano. Sono stati molto più formativi i momenti difficili in cui non sapevo dove sbattere il muso o dove suonare che fare il Forum sold out a soli 20 anni. Ho cercato la forza dentro di me, mi sono attaccato alla lettura, ho fatto scorsi online di dizione, avevo la barba enorme (ride, ndr)… Fare questo lavoro non è facile per niente, ti ritrovi davanti ai demoni ogni giorno e vorresti sparire. Invece di sparire, ho cercato la forza dentro di me e ho trovato una parte di me che mi piaceva, quella più autentica.
Alessandro: Riccardo si è sposato, è diventato papà di Filippo e lavora, così come Pierozzi si è lanciato in diversi lavori. Io ho iniziato qualche anno fa con Radio Zeta come speaker e continuo ancora oggi. Ho intrapreso un percorso anche spirituale con lo yoga. Ho vissuto i vari Sanremo, Forum e l’Arena di Verona con un’altra testa, oggi sarebbe tutto diverso.
Impossibile ricucire con l’unico Dear Jack non presente, Lorenzo Cantarini?
Alessio: Se n’è andato di sua spontanea volontà. Quando non c’ero io è diventato il vocalist del gruppo. Non credeva in questo progetto.
Tornando al disco sia “Morto per te” che “Toxic” parla di amore tossico. Lo avete vissuto?
Alessio: almeno il 99% delle donne e degli uomini ha vissuto questo tipo di amore anche nell’amicizia. A noi è successo e abbiamo anche raccolto tante testimonianze. Le parole sono pesanti e fuggire da una relazione così è difficile, quando hai davanti un angelo che in realtà dentro è un demone.
Come ne siete usciti?
Alessio: Con la psicoterapia. Per me è stata importantissima a prendere consapevolezza della persona che sono.
Alessandro: Quando le persone attorno a te ti fanno notare che molte cose non vanno nel rapporto ti arrabbi, non le ascolti. Invece è importante parlarne. Quando hanno iniziato a parlarne sempre più spesso, mi sono fermato, me ne sono reso conto. Per questo ho iniziato con la meditazione e lo yoga.
In “Anche basta” puntate il dito contro la solitudine che porta tante persone a far uso di sostanze chimiche…
Alessio: C’è un uso di psicofarmaci elevato, lo dicono i dottori e i numeri. Io qualche goccetta la prendo, sotto controllo medico, ma a me è servito per gli attacchi di panico e i nervi che non mi facevano dormire. Credo che la solitudine appaia quando diventi adulto. Quando sei bambino sei circondato dai genitori, i giochi, la scuola, poi cambia tutto di colpo. Mi ha aiutato scrivere un diario in cui raccontavo tutto quanto mi passasse in testa.
Alessandro: La solitudine non bisogna subirla, ma abbracciarla ogni giorni.
Nelle vostre canzoni fate un ritratto di una generazione troppo spesso lasciata in panchina. Cambierà questo scenario?
Alessio: Accade già. Le nuove generazioni però sono molto al passo coi tempi, io ero bigotto a 20 anni e anche tramite i social ho imparato tante cose. Io non ho avuto da subito queste nozioni perché i miei genitori facevano parte di un’altra generazione e visione. C’è una narrazione molto più ampia e una generazione molto attenta ai diritti, all’ambiente, alle minoranze. Mi piace tutto di questa nuova ondata generazionale. Io guardo già con ammirazione il mio nipotino, che è del 2014, con la sua velocità di apprendimento e di visione.
Alessandro: I social hanno lati negativi, ma è vero che per far sentire la propria voce e supportare alcune idee è uno strumento importante.