Cronaca

Infanticidio a Bergamo, i segnali di malessere sui social della 27enne arrestata e le preoccupazioni dei familiari a lasciarla sola

“La Procura incolpa me, come se tutta questa tragedia fosse voluta, cercata. A nessuno importa che i miei bimbi fossero seguiti e tenuti come fiorellini, perfetti. A nessuno importa come io cercassi disperatamente di essere la mamma che non ho mai avuto”. Queste frasi – riportate da Repubblica e Corriere della sera – sono state condivise nei mesi scorsi sui social da Monia Bortolotti, la 27enne arrestata sabato a Gazzaniga, nella Bergamasca, con l’accusa di aver ucciso entrambi i suoi figli: Alice, di quattro mesi, morta nel novembre 2021, e Mattia, di due, che ha perso la vita un anno dopo. Nata in India nel 1996, Monia era stata l’ultima orfana di Madre Teresa di Calcutta a essere adottata in Italia: dopo il liceo scientifico aveva iniziato gli studi in Psicologia senza mai portarli a termine, poi si era dedicata all’insegnamento della danza, attività a cui aveva rinunciato con la prima gravidanza. Alla nascita di Alice, nel 2021, conviveva a Pedrengo (Bergamo) con il compagno, Cristian Zorzi, di 25 anni più anziano.

La primogenita era morta dopo soli quattro mesi, ma la nascita prematura e la presenza di latte nella trachea avevano convinto il medico che si trattasse di un soffocamento da rigurgito, causato da problemi di deglutizione. Così, quando appena un mese dopo la madre era rimasta incinta di Mattia, la notizia era stata accolta con speranza e sollievo da parenti e da compaesani. È stata la morte del secondo figlio, nell’ottobre del 2022, ad allarmare i carabinieri: in entrambi i casi, infatti, la donna era sola a casa, ed era stata lei a chiamare i soccorsi. Le indagini non hanno potuto dare una spiegazione alternativa al decesso di Alice, per via del cattivo stato di conservazione della salma riesumata. Nel caso di Mattia, invece, l’autopsia non ha lasciato dubbi, confermando la morte per asfissia meccanica da compressione del torace.

La sofferenza e il disagio emotivo di Monia non erano un segreto: diversi erano stati i segni di malessere, individuati anche dalla famiglia. Dopo la morte di Alice la relazione con il compagno si era conclusa per volere di quest’ultimo, e Monia era andata a vivere dal padre, Pietro. I rapporti con la madre adottiva, invece, erano da sempre conflittuali, come la stessa donna ha ammesso sui social, parlando di lei come “nociva e anaffettiva”.

Se è vero che, stando ai primi riscontri, la donna non soffriva di patologie psichiche e ha agito – secondo gli inquirenti – con piena capacità di intendere e di volere, i familiari più volte si erano confrontati tra loro, preoccupati per la fragilità della neo-mamma e per il suo “fastidio nel sentir piangere i figli“, da lei stessa ammesso e condiviso anche con una psicologa. Secondo gli inquirenti il movente dei delitti è da individuarsi proprio nell’incapacità della donna a reggere la frustrazione del pianto prolungato dei bambini: l’ipotesi – racconta il Corriere – è che avesse già provato a uccidere Mattia, il secondogenito, ricoverato un mese prima del decesso perché non respirava più. Chi le era accanto racconta inoltre di timori nel lasciarla sola con i piccoli. Nell’ultimo post, il 13 ottobre scorso, scriveva così: “Vado avanti solo per proteggere l’amore immenso che provo per i miei bimbi dalle accuse della Procura, perché i miei bimbi erano tenuti come gioielli, erano la gioia che cercavo da una vita”.