“Non voglio delle protesi, ma le mie gambe”. Layan al Baz, 13 anni, piange disperata dal suo letto nell’ospedale Nasser, a Khan Yunis, sud di Gaza. “Voglio che mi rimettano le gambe, so che possono farlo” dice la ragazzina al cronista della AFP che la intervista nell’ala pediatrica della struttura medica. È successo tutto la scorsa settimana, racconta la madre Lamia al Baz. Un aereo israeliano ha sorvolato il distretto di al Qantara, a Khan Yunis. Quando ha sganciato la bomba, continua la madre della ragazza, “ha colpito casa nostra uccidendo due mie figlie, Ikhlas e Khitam, e due nipoti. Uno era appena nato”. I soccorsi hanno poi rinvenuto i corpi bruciati. “Così, all’obitorio ho riconosciuto il cadavere di Ikhlas dagli orecchini; quello di Khitam dai piedi”.

Queste morti si vanno ad aggiungere a un bilancio che sfiora le 10mila vittime. A quasi un mese dall’inizio della guerra, secondo le stime del ministero della Sanità di Gaza che fa capo ad Hamas, sarebbero 9.488 le persone morte finora. Di queste 3.900 minori e 2.509 donne.

Intanto, la situazione sanitaria a Gaza rimane drammatica. “L’ospedale di al-Shifa è quasi al collasso”, spiega il dottor Abu Abed, vicecoordinatore medico di Medici senza Frontiere. “In generale la condizione delle strutture mediche è critica: medici, infermieri e personale sanitario sono esausti e lavorano senza sosta da 23 giorni”. A pesare, spiega il medico, “è l’assenza di farmaci”. Proprio questa carenza di mezzi sta imponendo scelte drastiche. Le amputazioni degli arti, spiega il direttore dell’ospedale Nasser, Nahed Abu Taaema, sono l’unica via percorribile a causa della scarsità di strumenti e medicinali. “Altrimenti – sottolinea –, i pazienti potrebbero incorrere in complicazioni che metterebbero a rischio la loro vita”.

A poca distanza dal letto di Layan c’è un’altra ragazza. “Quando mi hanno trasportato qui – racconta Lama al Agha – ho chiesto all’infermiera di aiutarmi a sedermi. In quel momento ho scoperto di non avere più le gambe”. A differenza degli altri, la quattordicenne è determinata a non voler che la menomazione segni il suo futuro. “Mi farò mettere delle protesi e continuerò nei miei studi, così realizzerò il mio sogno di diventare medico”.

Fuori dall’ospedale, intento a camminare intorno al campo dove giocava a pallone, c’è Ahmad Abu Shahmah, 14 anni, vestito con una maglietta e dei pantaloncini verdi. “Quando mi sono svegliato dopo l’operazione ho chiesto a mio fratello: ‘dov’è la mia gamba?’”. Qualche giorno prima, un bombardamento aereo aveva colpito e distrutto il palazzo dove viveva, provocando la morte di sei suoi cugini. “Mi ha mentito – continua –, mio fratello ha detto che la mia gamba era li ma che non la percepivo a causa degli anestetizzanti”. Solo il giorno dopo “un mio cugino mi ha detto la verità”. A quella notizia “ho pianto tanto pensando che non avrei più camminato o giocato a pallone”. E conclude: “Una settimana prima della guerra, mi ero iscritto a una squadra di calcio”.

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