Oppure non basta chiamarsi Trudie Styler, dire a The Guardian che New York è finita (e questo lo sappiamo già). Il futuro è Napoli. Dopo che ha passato qualche giorno tra vicoli e panni appesi, limonate a cosce larghe e pulcinellate di ritorno da un Festival di Ischia si è messa dietro (o davanti visto che lei è anche la protagonista) la telecamera. E con sguardo da Alice delle meraviglie ce l’ha consegnata piena di cliché, sempre gli stessi, gomorra e voglia di riscatto, e nuovi luoghi, Sanità e Scampia. Poi si è passati alla beatificazione di Don Loffredo e di Roberto Saviano. Niente di nuovo per noi napoletani (e non) nei loro troppo lunghi pour parlar hanno ripetuto le cose che ripetono da anni. Trudie era l’unica a non saperlo.
Cambio di location: si gira a Scampia che non è un zoo – dice uno di loro – ma la stilosa Trudie (look curato a ogni ciack) ci presenta Le Vele proprio come un giardino zoologico trasandato dove i bambini giocano in mezzo a munnezze di ogni genere. Mai viste prima immagini del genere? Su una parete scrostata la scritta in rosso: “Gomorra avete rotto il cazzo!”. Ma lo spettatore era stato già allertato da Saviano accusato di infangare il territorio. Di Don Loffredo non aggiungo nulla, tanto sapete già tutto del padre/padrone/parroco della Sanità. Non aggiungo nulla sul cimitero delle Fontanelle, scavato nel ventre molle di tufo, dove i devoti adottano un teschio per chiedere la Grazia.
Belle e inedite certe facce della Sanità come la castagnara, Immacolatina, da 37 anni nello stesso angolo insieme al marito. Mezzo secolo spalmato tra castagne (d’inverno) e pannocchie (d’estate) alla stessa bancarella. Tanta vita davanti ai loro occhi, processioni di volti scavati dalla fatica e dalla dignità che Trudie ha definito miracoli felliniani. Poi ci sono le Forti-Guerriere che portano sulle spalle la bara della loro amica, vittima di feroce femminicidio. Perchè “nessuno uomo deve toccare la bara”, poi con cartello “In-giustizia” davanti al carcere di Poggioreale e i 10 anni di pena da scontare diventano 30. Giustizia è fatta, per il momento. Aggrappolati alle sbarre del carcere di Secondigliano suona e canta (in play back) Sting con una chitarra ricavata dal legno delle imbarcazioni dei migranti. Emozionante Peccato che nessuno abbia raccontato a Trudie dello scultoreo Jago che in una chiesa sconsacrata della Sanità ha fatto il suo museo. Riscatto sociale per l’artista Jorit che con le sue bombolette spray copre il degrado e innalza murales di 20 metri.
Ottima la scelta del montatore di inserire intermezzi di vecchi documentari quando eravamo poveri (belli non so): l’eruzione del Vesuvio del ’44, il trenino che portava fino al cratere del Vesuvio e la parata militare di Hitler e Mussolini in Piazza Plebiscito. Al saluto a mano tesa di Hitler, controlla se piove, l’aneddoto è parto della fantasia popolare. Il film apre con la canzone originale Neapolis di Clementino. Bellissima, tra rap nei vicoli e immagini digitali, ripercorre due millenni di storia perchè si ferma a Murat? C’erano anche i Borbone come penultima dinastia regnante). Al netto di qualche luogo comune e taglio agli intervistati, è da vedere. Ero con mia nipote Beatrice Arnone, 13 anni. A lei è piaciuto il messaggio di Francesco Di Leva, fondatore del Teatro Nest a San Giovanni a Teduccio, lui è uno che ha scelto di rimanere: “Non sono io che devo andare. Sono Loro i malviventi a dover scappare”. Applausi.