Oppure non basta chiamarsi Trudie Styler, dire a The Guardian che New York è finita (e questo lo sappiamo già). Il futuro è Napoli. Dopo che ha passato qualche giorno tra vicoli e panni appesi, limonate a cosce larghe e pulcinellate di ritorno da un Festival di Ischia si è messa dietro (o davanti visto che lei è anche la protagonista) la telecamera. E con sguardo da Alice delle meraviglie ce l’ha consegnata piena di cliché, sempre gli stessi, gomorra e voglia di riscatto, e nuovi luoghi, Sanità e Scampia. Poi si è passati alla beatificazione di Don Loffredo e di Roberto Saviano. Niente di nuovo per noi napoletani (e non) nei loro troppo lunghi pour parlar hanno ripetuto le cose che ripetono da anni. Trudie era l’unica a non saperlo.
Belle e inedite certe facce della Sanità come la castagnara, Immacolatina, da 37 anni nello stesso angolo insieme al marito. Mezzo secolo spalmato tra castagne (d’inverno) e pannocchie (d’estate) alla stessa bancarella. Tanta vita davanti ai loro occhi, processioni di volti scavati dalla fatica e dalla dignità che Trudie ha definito miracoli felliniani. Poi ci sono le Forti-Guerriere che portano sulle spalle la bara della loro amica, vittima di feroce femminicidio. Perchè “nessuno uomo deve toccare la bara”, poi con cartello “In-giustizia” davanti al carcere di Poggioreale e i 10 anni di pena da scontare diventano 30. Giustizia è fatta, per il momento. Aggrappolati alle sbarre del carcere di Secondigliano suona e canta (in play back) Sting con una chitarra ricavata dal legno delle imbarcazioni dei migranti. Emozionante Peccato che nessuno abbia raccontato a Trudie dello scultoreo Jago che in una chiesa sconsacrata della Sanità ha fatto il suo museo. Riscatto sociale per l’artista Jorit che con le sue bombolette spray copre il degrado e innalza murales di 20 metri.
Ottima la scelta del montatore di inserire intermezzi di vecchi documentari quando eravamo poveri (belli non so): l’eruzione del Vesuvio del ’44, il trenino che portava fino al cratere del Vesuvio e la parata militare di Hitler e Mussolini in Piazza Plebiscito. Al saluto a mano tesa di Hitler, controlla se piove, l’aneddoto è parto della fantasia popolare. Il film apre con la canzone originale Neapolis di Clementino. Bellissima, tra rap nei vicoli e immagini digitali, ripercorre due millenni di storia perchè si ferma a Murat? C’erano anche i Borbone come penultima dinastia regnante). Al netto di qualche luogo comune e taglio agli intervistati, è da vedere. Ero con mia nipote Beatrice Arnone, 13 anni. A lei è piaciuto il messaggio di Francesco Di Leva, fondatore del Teatro Nest a San Giovanni a Teduccio, lui è uno che ha scelto di rimanere: “Non sono io che devo andare. Sono Loro i malviventi a dover scappare”. Applausi.