“Dopo 63 anni lascio la Rai per La7”. Corrado Augias non si ferma di fronte a nulla, nemmeno all’età (88 candeline già spente e dritto verso le 89). Tanto da continuare ad allungare una carriera infinita tra giornalismo, tv ed editoria sempre nel segno della “cultura”. Intanto, come raccontato in una lunga intervista al Corriere della Sera, Augias condurrà alla corte di Urbano Cairo un programma settimanale in prima serata, dopo la striscia della Gruber, intitolato La torre di Babele. Nella prima puntata di dicembre subito un super ospite: Alessandro Barbero.
“Nessuno mi ha cacciato, ma nessuno mi ha trattenuto. A 88 anni e mezzo devo lavorare in posti e con persone che mi piacciono, e questa Rai non mi piace”, ha spiegato Augias a Cazzullo. “In Rai oggi vedo troppa improvvisazione, oltre a troppi favoritismi”, afferma l’autore di Telefono Giallo che ricorda l’entrata a Viale Mazzini con concorso nel 1960 (“quinto su 110”). L’avventura libica con il padre ufficiale dell’aeronautica sotto Italo Balbo durante il fascismo, il ricordo “orribile” della guerra (“La fame era tremenda, nel pane trovavi pezzi di legno”), le radici ebraiche da parte di nonna, le interviste a torso nudo degli hippie americani negli anni sessanta, la tentazione omosessuale e la pippata di coca (“effetti zero, forse l’ho inalata male”), i ricordi letterari (pure un plagio), la breve permanenza in un kibbutz israeliano, il voto per il partito socialista, la Meloni “intelligente e prigioniera” e la Schlein di cui non vuole parlare (“Non vorrei parlare della sinistra. Che fine ha fatto quella forza che l’ha animata per mezzo secolo? Sembra evaporata”), l’identità nazionale italiana molto fragile (“siamo un Paese troppo lungo, come diceva Giorgio Ruffolo, con una frontiera interna, gli Appennini. Non solo Nord e Sud; anche solo Firenze e Bologna, che distano appena cento chilometri, sono troppo diverse per capirsi”).
Infine una nota politica molto interessante. Quando l’intervistatore elenca le grandi capitali dove Augias ha vissuto, e sulle quali ha scritto numerosi volumi, ecco sbucare Parigi (“La mia seconda patria”) che però si trasforma in spunto per un tema politico pressoché assente nell’arcipelago delle riflessioni progressiste italiane: il concetto di patria. “Anche se invecchiando amo di più la nostra Italia (rispetto alla “seconda patria Parigi” ndr). Ho visto il film con Favino, Comandante, e mi ha commosso. Che errore ha commesso la sinistra regalando la patria ai fascisti!”.