C’è manifestazione e manifestazione. Diciamo che in questi giorni ce ne sono di almeno tre tipi, con varie sfumature intermedie. Quelle più limitate, e scarseggiano, sono quelle a sostegno di Israele. Di recentissima c’è stata solo quella di Salvini a Milano. Credo che la spiegazione sia abbastanza semplice, anche ogni volta bisogna riscoprire questa chiamiamola legge della fisica o della dialettica delle manifestazioni. E’ raro che si scenda in piazza in segno di solidarietà per qualcosa o contro qualcosa se già il nostro o i nostri governi sono pienamente su quella impostazione. Anche dopo gli episodi più sanguinosi di terrorismo islamico, 11 settembre o Bataclan, si è scesi in piazza sì, ma per una volta o due, più che altro per farsi coraggio.
Si manifesta ripetutamente quando si è in dissenso totale o parziale con quello che stanno facendo il nostro governo o quello del “nostro principale alleato”, gli Usa. In questa nuova guerra israelo-palestinese non c’è stato praticamente neanche il tempo di rendersi conto di quanto l’attacco di Hamas sia stato un barbaro massacro di civili, e già il tema era diventato la rappresaglia dell’esercito israeliano. Piuttosto evidente agli occhi di tutti, anche di quelli che la giustificano come tragica necessità.
Dicevo dei tre tipi di manifestazione: quasi inesistenti quelle pro-Israele, dilagate in tutta Europa quelle pro-Palestina. Nella giornata di sabato 4 novembre decine di migliaia di persone sono scese in piazza a Londra per il quarto sabato consecutivo, e per la prima volta a Berlino e a Parigi dove il governo aveva in precedenza proibito le manifestazioni (che comunque si erano tenute in forma parziale e a rischio di denuncia). Quella di Parigi, indetta dal sindacato Cgt e da France Insoumise per il cessate il fuoco, era quasi del terzo tipo, ovvero manifestazioni indette da forze sindacali politiche e associazioni “indigene europee” che condannano anche l’assalto di Hamas del 7 ottobre e chiedono anche la liberazione degli ostaggi.
Ma a Parigi è stata anche la prima occasione per gli immigrati arabi di manifestare liberamente. I cortei pro Palestina puri, da Londra a Berlino a Milano a Torino e in altre città, sono stati mossi formalmente o sostanzialmente dalle comunità arabe e/o dalle moschee. Può sembrare incredibile, rispetto a quello che è il nostro dibattito politico mediatico, che abbiano evitato di pronunciarsi pro o contro le azioni di Hamas; ma credo che questo apparente equilibrismo sia stato aiutato e fondato da un evidente elemento sociologico: sono scese in piazza in prevalenza persone semplici, poco politicizzate, pacifiche e prudenti, ma non educate in una cultura pacifista, che vivono l’attacco ai palestinesi come una oppressione di tipo colonialista “bianco” nei confronti degli arabi. Gli ucraini nelle piazze europee l’anno scorso, le seconde generazioni (o anche i turchi e i marocchini immigrati di vecchia data) nelle piazze di questi giorni sono una novità assoluta nella storia delle mobilitazioni contro questa o quella guerra che abbiamo vissuto in Italia e in Europa. Come dire che ormai il mondo ce l’abbiamo in casa.
Dal mio punto di vista pacifista queste mobilitazioni puramente pro-palestinesi lasciano comprensibilmente perplessi, ma posso riconoscere con sollievo che si sono complessivamente mantenute al di qua di un livello di guardia sia verbale che fisico. Le manifestazioni del terzo tipo, quelle che sono frutto di una elaborazione e di un radicamento nelle culture politiche progressiste europee, hanno stentato a partire o a raccogliere molti partecipanti. In questi giorni ci sono state però esperienze interessanti.
Quella di più pura “equivicinanza” è stata la preghiera di massa interreligiosa a Trieste promossa dal vescovo, dal rabbino e dall’imam. A Torino è stata massiccia la partecipazione a una manifestazione serale il 2 novembre conclusa da Don Ciotti e che ha visto insieme anche Pd e Cinque Stelle.
A Cosenza, pur nei numeri limitati di una piccola città, mi sono imbattuto in una manifestazione indetta da molte sigle a partire dalla Cgil che causa pioggia è stata ospitata nel consiglio comunale e in cui ha parlato anche l’Arcivescovo Giovanni Checchinato (citando una poesia di Bertolt Brecht, “la Guerra che verrà”). Molte bandiere della pace, qualcuna della Palestina, una dialettica aperta ma dialogante tra “equivicinanza” e “prima di tutto Gaza”. Il municipio espone in un unico drappo la bandiera della pace, quella israeliana e quella palestinese.