Cultura

Nanni Moretti, l’esordio teatrale con “Diari d’amore” è un trattato esemplare sull’assenza di regia

L’autore di Caro Diario porta in scena due testi di Natalia Ginzburg – Dialogo e Fragole e panna – senza recitare: ma la regia latita, anzi è proprio evaporata. E non si salva nemmeno il grande Valerio Binasco

di Davide Turrini

Apri la porta, chiudi la porta. Siedi sul divano, alzati dal divano. Scendi dal letto, risali sul letto. Spegni la luce, accendi la luce. Sposta il letto, metti il divano. L’esordio alla regia teatrale di Nanni Moretti con Diari d’amore – in tournée nei teatri italiani da quasi un mese – è un trattato esemplare sull’assenza totale di regia. E non parliamo di post regia (o regia debole), ma proprio di una casella vuota usata evidentemente più per applausi scroscianti e sold out da partito preso che per un concreto lavoro sulla messa in scena di un testo. Si vede di più se dirigo e sto in un angolo o se non dirigo proprio? Il profluvio di discussione teorica attorno a figura, ruolo e pratica del regista nel teatro contemporaneo annichilisce di fronte all’impalpabilità della presenza morettiana dietro le quinte di Diari d’amore. L’autore di Caro diario, che per il suo battesimo teatrale sceglie due testi di Natalia Ginzburg sull’infedeltà, il tradimento e la crisi della coppia (ci si permetta) borghese, sembra come aver preso alla lettera un’affermazione di Giorgio Barberio Corsetti di qualche anno fa: “Ma poi cosa vuol dire dirigere? Non si dirige nulla, ci si lascia dirigere”. E buonanotte.

Perché poi il disastrino di questa piece in due atti – Dialogo, Fragole e panna – è di quelli che trascinano con sé anche gli aspetti minimamente stimolanti dell’intera operazione. A partire dal fatto che il più grande attore teatrale italiano, Valerio Binasco, uno che andrebbe ringraziato per mille interpretazioni e una in particolare, Crociate con Vacis alla regia (!), sembra come passare trafelato sul palco di Diari d’amore con la fretta e il disincanto dell’avvocato Cesare, personaggio del secondo atto in scena. Perché non solo non esiste una regia demiurgica (che a teatro sia mai non è sempre un bene, ma almeno un po’ di ciccia c’è) in Diari d’amore, ma anche la funzione da regia maieutica nel riportare al centro della scena l’attore risulta come procedura paurosamente inefficace, pallida e inconcludente.

Tanto che superato il battibecco tragicomico a due modello Neil Simon di Dialogo, con Binasco e Alessia Giuliani in pigiama, all’alba, sotto le lenzuola della camera da letto, mentre lei confessa a lui il tradimento con l’amico comune; nel salotto di Fragole e panna il palco si sovraffolla di cinque sagome (oltre a Binasco e Giuliani, ci sono Daria Deflorian, Arianna Pozzoli, Giorgia Senesi) in cerca di diagonali impossibili, imprigionate asetticamente in dualismi performativi meccanici (apri e chiudi, spegni e accendi, ecc… di cui sopra) per un testo che perde ogni possibile ricognizione morale ginzburghiana mentre sprofonda nell’attesa di una luce che illumini senso e direzione della scena. Codazzo generosissimo di fan e amici a parte in solluchero, Diari d’amore è una delle opere teatrali più dimenticabili degli ultimi anni, della quale si ricorderanno più le gambe penzolanti di Binasco nel terrificante letto inclinato del primo atto che una qualsiasi amara o rassegnata battuta esistenziale dei personaggi. Ogni riferimento alla mancanza di una vera regia negli ultimi film di Moretti è puramente casuale.

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