Gli stipendi aumentano in tutti i paesi Ocse tranne uno: l’Italia. L’Organizzazione che riunisce le 38 economie più avanzate al mondo segnala come nel secondo trimestre 2023 il reddito reale (ossia tenendo conto dell’effetto dell’inflazione) delle famiglie nell’area Ocse sia aumentato per il quarto trimestre consecutivo dello 0,5%. Viceversa nel nostro paese il potere d’acquisto delle buste paga si è contratto di un altro 0,3%. Negativo pure il pil reale per abitante che cala a sua volta dello -0,3%. In Germania i redditi familiari sono saliti dello 0,5%, in Francia dello 0,1%, in Gran Bretagna dello 0,9% e negli Stati Uniti dello 0,5%. Il dato italiana fa seguito ad un primo trimestre caratterizzato da una discreta ripresa del potere d’acquisto, preceduta però a sua volta da un 2022 di forti cali. L’Italia vanta un altro triste primato tra i paesi Ocse, è l’unico in cui gli stipendi valgono oggi meno di 30 anni fa, oltre ad essere quello in cui il loro valore reale è sceso di più in questi ultimi anni caratterizzati da un’inflazione relativamente sostenuta.
Ormai le rilevazioni che fotografano l’inesorabile perdita di potere d’acquisto degli stipendi italiani si accumulano sulle scrivanie di governo e Confindustria. Ma niente, i contratti si rinnovano al ribasso e a passo di lumaca, provvedimenti come il reddito di cittadinanza o il salario minimo, capaci di introdurre uno stop al ribasso per le retribuzioni (in prospettiva un vantaggio per la competitività del sistema economico tutto) vengono cancellati. Ad inizio settembre il centro studi di Mediobanca ha dato le dimensioni del disastro: in un solo anno il potere di acquisto è crollato di oltre il 20%. Inevitabilmente questo si ripercuote sui consumi. Le famiglie spendono di più (perché i prezzi sono aumentati) ma comprano sempre di meno perché i soldi a disposizione sono sempre quelli. La Commissione Ue dal canto suo rimarcala lentezza degli adeguamenti dei contratti collettivi.
L’aumento dei tassi decisi dalla Banca centrale europea ha fatto lievitare le rate dei mutui variabili e il costo di quelli di nuova sottoscrizione, così come dei prestiti, drenando altre risorse dai bilanci familiari. Costi dell’energia, che rimangono ben al di sopra della media storica, fanno il resto. Le imprese, che possono agire sui listini, si arricchiscono. La stessa Bce si è resa conto di come, in molti casi, l’inflazione sia stata spinta da incrementi dei prezzi ben superiori a quelli dei costi. I maggiori profitti gradualmente dovrebbero trasferirsi in una qualche misura anche a beneficio delle retribuzioni. Nel resto del mondo sta accadendo, in Italia no.