È il 4 maggio del 2022 quando i finanzieri di Milano danno il via alla verifica fiscale che ha portato ieri al sequestro monstre – a fini di confisca – di oltre 779 milioni di euro ai danni di Airbnb. Il 21% su canoni di affitto – per un valore di 3,7 miliardi di euro – previsti dalla legge come cedolare secca e intermediati dalla piattaforma nel periodo 2017-2021: per quella tassa la piattaforma avrebbe dovuto operare come sostituto d’imposta ma nonostante una legge del 2017 non l’ha mai fatto.

Il lavoro di recupero dei dati – nei service delle società – separando quelli che ricadevano nell’ambito della legge italiana e quelli che non ricadevano è stato lungo, ma ha portato a costruire la griglia di partenza dell’indagine della procura di Milano che iscritto nel registro degli indagati la società e i suoi tre legali rappresentanti irlandesi che avrebbero appunto disporre il versamento al Fisco. Gli accertamenti delle Fiamme gialle ancora non sono terminati: l’ipotesi è che l’indagine – che al momento riguarda gli anni 2017-2021 – possa essere ampliata agli altri anni. Intanto i finanzieri hanno acquisito documenti alla ricerca di indicazioni sui conti, in particolare irlandesi e californiani, sui quali andare a congelare i soldi considerati profitto di evasione fiscale.

Un accertamento, quello delle Fiamme gialle, che Airbnb temeva per il possibile un “effetto valanga” nella Ue, come si legge nel decreto di sequestro firmato dal giudice per le indagini preliminari Angela Laura Minerva. Si sarebbe andato a “generare a livello europeo qualora i Governi dei rimanenti Stati membri” avessero preso atto di un report dell’Ocse (titolo: ‘The Sharing and th Gig Economy: Effective Taxation of Platform Sellers’) per decidere di “allinearsi” alla posizione italiana.

Nei documenti acquisiti dal Nucleo di polizia economico finanziaria è stato acquisito anche un documento interno classificato come confidenziale e intitolato “Italian income tax law – Analysis of scenarios” che mostra le opzioni prese in considerazione. Gli scenari erano quattro: il primo prevedeva di “difendere la propria posizione” facendo i conti “con diversi anni di contezioso”, il secondo ipotizzava l’opzione di abbandonare “i pagamenti online”, anche se ciò avrebbe potuto portare ad una “contrazione dei ricavi”, terza ipotesi quella di “conformarsi” alla normativa sulla cedolare secca con un sistema, però, di “adesione volontaria” da parte degli host locatari. Ultimo scenario quello di “conformarsi integralmente al dettato normativo” con un “rischio potenziale”, però, per Airbnb “di aumento dei prezzi degli annunci e di conseguente perdita di quote di mercato“. Per il giudice il memorandum rappresenta “la violazione dell’obbligo” fiscale di raccogliere la cedolare secca – – fosse “frutto di una consapevole scelta imprenditoriale, all’esito del vaglio delle possibili condotte da tenere”.

L’indagine, coordinata dai pm Giovanni Polizzi, Cristiana Roveda e Giancarla Serafini, conta non solo sugli accertamenti fiscali ma sui due ricorsi che Airbnb si è vista respingere dal Consiglio di Stato e dalla Corte europea. La verifica fiscale si è chiusa nel maggio 2023 ma non ha mutato la “politica aziendale” di Airbnb “come confermato dal protrarsi dell’omissione” del versamento delle imposte “anche negli anni successivi a quelli di verifica” fiscale ed è per questo che l’ipotesi che le indagini possano allargarsi al 2022 e al 2023. Mercoledì in Procura pm, investigatori e Agenzia delle Entrate si riuniranno per fare il punto della situazione. Allo stato, pare che sia improbabile che Airbnb decida di ricorrere al Riesame contro il sequestro e bisognerà capire, invece, se intenderà iniziare a discutere di versamenti al Fisco. “Airbnb Ireland ha in corso una discussione con l’Agenzia delle Entrate dal giugno 2023 per risolvere questa questione”, aveva chiarito ieri la società.

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