A oltre 12 anni dall’emersione dello scandalo P4, la sezione disciplinare del Csm ha radiato dalla magistratura per quei fatti l’ex deputato berlusconiano Alfonso Papa, rimasto fino a oggi un membro dell’ordine giudiziario (seppur sospeso in via cautelare dalle funzioni e dallo stipendio). Nel luglio 2011 Papa era stato arrestato su autorizzazione della Camera: i pm napoletani Henry John Woodcock e Celeste Carrano lo accusavano di favoreggiamento e rivelazione di segreto per aver fornito al faccendiere Luigi Bisignani notizie riservate su procedimenti penali in corso (in cambio di un intervento di Bisignani su Denis Verdini per fargli ottenere un collegio sicuro), nonché di concussione per aver indotto due imprenditori a fornirgli soldi, regali lussuosi e consulenze fittizie offrendo loro informazioni su indagini nei loro confronti e la possibilità di intervenire per “aggiustarle”. Il tutto approfittando della sua triplice qualità di parlamentare, magistrato (anche lui pm a Napoli) e direttore generale al ministero della Giustizia, e con la collaborazione decisiva di Enrico La Monica, sottufficiale dei Carabinieri in servizio all’Anticrimine partenopea. Papa era rimasto nel carcere di Poggioreale per 101 giorni prima che gli venissero concessi gli arresti domiciliari. Il procedimento disciplinare è rimasto sospeso per un decennio in attesa della definizione di quello penale, concluso nel 2021 con la prescrizione di tutte le accuse.
Già in primo grado, nel 2016, erano stati dichiarati prescritti i favoreggiamenti e le rivelazioni di segreto a favore di Bisignani (che ha patteggiato un anno e sette mesi). Il Tribunale di Napoli aveva però condannato l’ex deputato a quattro anni e sei mesi, riqualificando l’accusa di concussione in quelle di induzione indebita e istigazione alla corruzione, per la serie impressionante di utilità ricevute dagli imprenditori (e dall’ex capo delle relazioni esterne di Finmeccanica) in cambio della sua “mediazione” con gli ambienti giudiziari. Tra le altre, i capi d’imputazione citavano “oggetti di Cartier“, “soggiorni in alberghi di lusso (come per esempio il Principe di Savoia a Milano)”, “la stipula di contratti di consulenza fittizi in favore di sue amiche e conoscenti”, “il pagamento di somme di denaro in contante per un ammontare di circa diecimila euro”. Durante il processo gli imprenditori avevano dichiarato che era stato proprio Papa a contattarli per informarli che erano nel mirino delle indagini e rischiavano guai con la giustizia. Anche questi reati, però, sono stati dichiarati prescritti in Appello (nel 2019) e poi dalla Cassazione, che ha rigettato i ricorsi dei pm. Nell’udienza di martedì di fronte alla sezione disciplinare del Csm l’accusa, rappresentata dalla sostituta procuratrice generale della Cassazione Elisabetta Ceniccola, aveva chiesto la rimozione, sanzione massima prevista dall’ordinamento, mentre la difesa (avvocato Carlo Di Casola) l’assoluzione. Contro il verdetto è ancora possibile il ricorso alle Sezioni unite della Suprema Corte.