“Questa tragedia ha colpito il cuore della Toscana, la piana che va da Campi Bisenzio a Quarrata e che ha l’epicentro nel comune di Prato. Prato è molto di più che un comune, è un esempio, ha insegnato al mondo cosa vuol dire lavorare duro, è un esempio di civiltà e tenacia incredibile, la gente di Prato è tosta”. Così nell’Aula del Senato, Matteo Renzi ricordando le vittime dell’alluvione che ha colpito la Toscana.
Il sindaco di Prato, Biffoni, ha aggiunto il leader di Italia Viva rivolto al presidente del Senato, Ignazio La Russa, “mi ha detto: ‘noi non vogliamo cassa integrazione, ma decontribuzione e incentivi per gli acquisti delle aziende tessili che sono state distrutte. Ci aiuti a ricordare al governo che quello che chiede la gente è poter ripartire subito e ripartire con il lavoro”.
Renzi ha quindi evidenziato cosa andrebbe fatto subito. “Non ci può essere da parte di tutti noi e del Governo – ha aggiunto – un ulteriore ritardo sull’unità di missione per il dissesto idrogeologico. Nel momento in cui stiamo piangendo le vittime di Prato e della Toscana ci sono due opere pubbliche che hanno salvato due città di arte del Paese: il Mose ha salvato Venezia; Firenze si è salvata stavolta perché un’opera come Bilancino da un lato e le casse di laminazione e di espansione del Val d’Arno aretino e fiorentino l’hanno messa in sicurezza. Siccome le opere pubbliche, quando si fanno, servono a salvare vite ci aiuti a ricordare al governo che l’unità di missione sul dissesto idrogeologico è una cosa da fare e non da rinviare altrimenti le nostre sono solo lacrime di coccodrillo”.
Riceviamo e pubblichiamo
Sentire il senatore Renzi invocare la creazione dell’unità di missione sul dissesto idrogeologico, che poi dovrebbe spiegare di cosa si tratta, fa venire l’orticaria e suscita sgomento. Proprio lui, il rottamatore, colui che avrebbe dovuto trasformare l’apparato amministrativo italiano in una macchina da guerra, ma, che alla fine, non ha partorito nemmeno un topolino, parla di un’altra fantomatica struttura da creare per la salvaguardia del sistema idrogeologico.
Proprio lui, che ebbe l’opportunità con la delega al governo di riformare il Cfs e magari rafforzarlo per riportarlo a quella vocazione tecnica che sul fronte del dissesto idrogeologico ebbe risultati impressionanti, stabilizzando valli e versanti montani mettendo il nostro Paese in sicurezza. Invece scelse di cancellare il Corpo forestale dello Stato smembrandolo in varie amministrazioni, mentre la fetta più grande dell’agnello sacrificale la consegnò all’Arma dei carabinieri, forza militare e quarta forza armata, militarizzandone coattivamente il personale.
L’Italia, nel dopoguerra, ha saputo creare infinite opere di difesa del fragile contesto dei versanti e dei corsi d’acqua, ma nel corso degli anni lo ha via via depauperato, ma, soprattutto, ha smantellato tutte le amministrazioni che avevano il compito di sorveglianza e prevenzione. Il titolo V della costituzione che ha delegato alle regioni la materia forestazione e vincolo idrogeologico, la cancellazione del Genio Civile, la cancellazione delle province e delle polizie provinciali presenti solo in alcune parti d’Italia e, infine, la cancellazione del Corpo forestale.
La segreteria nazionale FeRFA