Il Mainz ha licenziato Anwar El Ghazi con effetto immediato “in risposta alle dichiarazioni e ai post del giocatore sui social media”. Con questa breve giustificazione lo scorso venerdì il club tedesco, ad oggi penultimo in Bundesliga, ha stracciato il contratto del 28enne calciatore olandese di origini marocchine. Una notizia che nel weekend è stata ripresa da gran parte dei siti d’informazione italiani, sportivi e non, con una spiegazione: El Ghazi è stato licenziato per un post pro-Palestina (subito rimosso) con la frase “dal fiume al mare, la Palestina sarà libera”, uno degli slogan usati anche da Hamas e considerata da alcuni un riferimento al mancato riconoscimento dell’esistenza di Israele. La vicenda però è molto più complessa e per ricostruirla bisogna analizzare tutto ciò che è successo nel mezzo, ovvero tra il primo post del calciatore datato 16 ottobre e la decisione del Mainz di licenziarlo, arrivata solo il 3 novembre.
Il primo messaggio condiviso da El Ghazi è rimasto sul web per davvero pochi minuti, tanto che è difficile trovare anche un solo screenshot del post. Che recitava: “Questa non è guerra. Quando una delle due parti taglia acqua, cibo ed elettricità all’altra non è guerra. Quando una delle due parti ha armi nucleari non è guerra. Quando una delle due parti è finanziata con miliardi di dollari non è guerra. Quando una delle due parti utilizza immagini generate dall’Intelligenza Artificiale per diffondere disinformazione sull’altra non è guerra. Quando i social censurano i contenuti di una parte e non dell’altra non è guerra. Questo è genocidio, distruzione di massa e noi vi stiamo assistendo in diretta”. Poi la conclusione: “Dal fiume al mare, la Palestina sarà libera”.
Il messaggio contiene le idee di un calciatore, contro le azioni di Israele nella striscia di Gaza. Non ci sono incitamenti ad Hamas o contro Tel Aviv, se non per l’ambiguità nella frase finale. Tant’é che poco dopo El Ghazi rimuove il post. Arriva comunque la decisione del Mainz di sospendere il suo calciatore, acquistato in estate dopo aver risolto il suo contratto con il Psv. A metà ottobre, a circa 10 giorni di distanza dalla strage compiuta da Hamas, il conflitto è un tema ancora molto sensibile, in particolare modo in Germania. Nelle stesse ore, anche il Bayern Monaco decide di sospendere il terzino marocchino Noussair Mazraoui, sempre per un post pro-Palestina. Il Mainz inoltre ha una storia particolare: è stato fondato nel 1905 da un ebreo, Eugen Salomon, che fu calciatore e primo presidente del club. Una carica che gli fu tolta dai nazisti nel 1933: Salomon provò a fuggire, ma nel 1942 fu deportato ad Auschwitz e ucciso.
La storia tedesca e nello specifico quella del Mainz spiegano la speciale attenzione al tema di Israele e al contrasto ad ogni forma possibile di antisemitismo. Fatto sta che, come per Mazraoui a Monaco, anche la vicenda di El Ghazi dopo qualche giorno sembra rientrata. Ed è qui che il caso assume una piega diversa, trasformando il licenziamento del calciatore in un precedente pericoloso. Il 27 ottobre infatti El Ghazi pubblica un post chiarificatore: “Condanno l’uccisione di civili in Palestina e in Israele” e “sono impegnato per una regione mediorientale pacificata”. Parole condivisibili da tutti, infatti tre giorni dopo il Mainz decide di annunciare il suo rientro in squadra (qui il comunicato).
Nel messaggio pubblicato sui suoi profili, il club scrive: “El Ghazi ha preso le distanze dal post pubblicato sul suo canale Instagram, che lui stesso ha cancellato dopo pochi minuti”. E ancora: “Il consiglio del club ha chiaramente sottolineato ad Anwar El Ghazi durante le discussioni che richiede ai suoi dipendenti di impegnarsi nei valori del club. Ciò implica una responsabilità speciale nei confronti dello Stato di Israele e del popolo ebraico, che deriva dalla storia tedesca, ma anche dalla storia del club con il suo cofondatore ebreo Eugen Salomon”. Parole evidentemente non concordate con il calciatore, che decide di replicare duramente su Instagram: “A scanso di equivoci, la mia dichiarazione del 27 ottobre 2023 è stata la mia unica e definitiva dichiarazione sia all’FSV Mainz 05 che al pubblico in merito ai post sui social media da me pubblicati nelle ultime settimane. Qualsiasi altra dichiarazione, commento o scusa contraria attribuita a me non è di fatto corretta e non è stata fatta o autorizzata da me”.
El Ghazi in questo messaggio chiarisce nuovamente quali sono le sue idee: “La mia posizione rimane la stessa di quando tutto è iniziato: sono contro la guerra e la violenza, sono contrario all’uccisione di tutti i civili innocenti, sono contro ogni forma di discriminazione, sono contro l’islamofobia, sono contro l’antisemitismo, sono contro il genocidio, sono contro l’apartheid, sono contro l’occupazione, sono contro l’oppressione”. E aggiunge: “Non potrà mai esserci alcuna giustificazione per l’uccisione di oltre 3.500 bambini a Gaza nelle ultime tre settimane. Come possiamo noi, come mondo, rimanere in silenzio quando, secondo Save the Children, un bambino viene ucciso ogni 10 minuti a Gaza. Sono 9 bambini uccisi prima che io finisca una partita di calcio. Quel numero aumenta di giorno in giorno”. Poi El Ghazi conclude: “Dobbiamo chiedere la fine delle uccisioni a Gaza adesso”.
Il calciatore quindi sottolinea di essere contrario all’antisemitismo e di fatto chiede a più riprese la fine della guerra a Gaza. Eppure per questo post il Mainz decide di licenziarlo, diramando appunto un comunicato venerdì 3 novembre. El Ghazi replica con un ultimo post su Instagram: “La perdita della mio stipendio non è nulla in confronto all’inferno scatenato sugli innocenti e vulnerabili a Gaza”. La decisione del club tedesco scatena in Germania un dibattito sulla libertà di espressione. Se il primo post poteva contenere messaggi equivocabili, la successiva presa di posizione di El Ghazi non sembra incitare alla criminalità, all’odio o alla violenza. Sono le idee di un calciatore, che però gli sono costate il licenziamento. Senza che nessuno nel mondo del calcio si domandasse se sia lecita la decisione del Mainz. Eppure il confine è sottile: oggi è il conflitto tra Israele e Palestina, domani potrebbero essere altre tematiche a suscitare l’irritazione del direttivo di questo o quell’altro club. Alla fine, vincono sempre i calciatori che non si schierano. Fare gol e guadagnare, in silenzio.