Uno dei tanti danni causati da questa guerra – a parte le vite umane così preziose – è l’uso leggero, impreciso e contorto delle parole. Giornalisti televisivi e della stampa chiedono a esponenti israeliani, a esperti legali, a ex generali, a storici, se Israele abbia una reazione “proporzionata” al micidiale attacco di Hamas del 7 ottobre 2023. I giornalisti, specialmente quelli della BBC, nell’usare la parola “proporzionata” non notano che una risposta proporzionata sarebbe in realtà aberrante, mostruosa, di follia omicida: mica i soldati israeliani vanno nelle case, portano via bambini, ammazzano le madri, i padri, tagliano la pancia a donne incinte, mettono un neonato nel forno e lo accendono, prendono ostaggi di 4 e 9 mesi e li portano a Gaza. Hamas ha preparato un attacco ai vicini oltreconfine, non aveva nessuna intenzione di attaccare postazioni militari o soldati. L’odio e la crudeltà li ha portati nelle case dei kibbutz, dove hanno compiuto ciò che ogni persona che conosce la storia del XX secolo giudica come gravi crimini contro l’umanità.
In diverse manifestazioni in Europa e nelle università americane si è parlato di “oppressi”, “liberatori”, “combattenti per la libertà”. Anche in questo caso si fa torto a parole nobili. Hamas è una organizzazione fondamentalista terrorista musulmana, che non combatte per la liberazione della Palestina ma per le uccisioni degli infedeli. Per un intellettuale occidentale è giusto criticare l’intollerabile occupazione di Israele della Cisgiordania (Gaza non ha presenza israeliana nel suo territorio dal 2005), ma dovrebbe farlo anche verso i crimini di 3.000 membri di Hamas che hanno incendiato case con famiglie dentro, ammazzato madri davanti ai figli e viceversa, stuprato le ragazze fino a spezzar loro le ossa.
In diverse petizioni intellettuali e artisti americani hanno condannato le vittime e definito i criminali di Hamas “liberatori” del colonialismo e altre frasi prese dagli studi post coloniali, così cari a certe università americane. Nominerò due nomi che mi hanno colpito: Judith Butler (americana, ebrea, lesbica e grande studiosa del femminismo e del gender), che se solo fosse entrata a Gaza presentandosi per quello che è sarebbe stata immediatamente uccisa da Hamas. E quello dell’importante fotografa americana Nan Goldin, che ha firmato la petizione della rivista di arte contemporanea Art Forum in cui è uscita subito dopo il massacro del 7 ottobre senza menzionare le dettagliate crudeltà.
Perché sia chiaro che Hamas non ha commesso questo attacco mossa da patriottismo palestinese cito una intervista di alcuni giorni fa a una televisione inglese in cui un esponente di Hamas, Razi Ahmed, ha detto “dobbiamo finire con questa questione di Israele, cancellarla dal suolo islamico, dopo l’attacco del 7 ottobre verrà il secondo, il terzo e il quarto”.
Israele ha responsabilità verso i suoi abitanti e vicini; i governi Netanyahu hanno tolto la speranza e l’orizzonte politico a queste due martoriate popolazioni, con lui e il suo attuale governo non è possibile alcun negoziato. I coloni, che hanno loro ministri nel governo, non hanno smesso, nemmeno in queste tremende settimane, di maltrattare i loro vicini palestinesi senza pensare che questo può incendiare anche la Cisgiordania. Netanyahu non è andato a nessun funerale né in visita alle famiglie colpite. Certo non mi aspetto da lui atti nobili come quello del re giordano Hussein, quando all’indomani dell’uccisione di alcune studentesse da parte di un soldato giordano al confine con Israele, andò di persona nelle loro case, si inginocchiò e chiese scusa.
Se in questi giorni tragici volessimo trovare una nota “positiva” potremmo pensare a una nuova consapevolezza del mondo intero che questo conflitto non può essere lasciato alle parti in causa. Le potenze mondiali devono costringere i due popoli a cambiare la loro leadership. Netanyahu non è un partner per nessuna trattativa di pace e nel suo governo ci sono elementi di estrema destra che non esiteranno a incendiare tutto il Medioriente. Ovviamente Hamas con capi come il miliardario Khaled Mashal e Yahya Sinwar (liberato da Netanyahu dal carcere israeliano con altri mille prigionieri in cambio di un solo israeliano, il soldato Shalit) non può essere parte di un negoziato di pace. Basta leggere il suo statuto per capire che non di Stato palestinese si interessano, ma della cancellazione di ogni presenza ebraica – e anche cristiana – anche sul suolo dello Stato di Israele.
La parola speranza di cui c’è così tanto bisogno può avere la seguente applicazione politica: una pressione mondiale sui due popoli accompagnata dalla proposta saudita, dal piano Clinton o un altro per la pace nel Medioriente – in queste ore si sta parlando di quello Blinken. E chi non accetta una soluzione politica del conflitto e la nascita di due Stati per due popoli deve essere sanzionato perché il conflitto israeliano-palestinese è un pericolo concreto per la pace nel mondo intero.