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Attanasio, Pd chiede ancora al governo perché non si è costituito parte civile nel processo: ma sono 5 le interrogazioni senza risposta

Una nuova interrogazione parlamentare sul caso Attanasio: prima firmataria Lia Quartapelle (Pd), con Silvia Roggiani. Di nuovo, l’opposizione torna a chiedere conto al governo della mancata costituzione dello Stato italiano come parte civile nel processo in attesa di partire a Roma e anche delle risposte finora non pervenute sul tema. L’interrogazione a risposta scritta è stata depositata il 31 ottobre ed è rivolta al ministro degli Esteri Antonio Tajani. Vi si sottolinea una profonda contraddizione: “Il Governo italiano si è costituito ‘parte civile’ nel processo portato avanti dalle autorità congolesi ma non nel procedimento contro i due funzionari del programma alimentare mondiale (Rocco Leone e Mansour Rwagaza, ndr) attivato dalla magistratura italiana”. Per questo, Quartapelle e Roggiani domandano “quali motivazioni abbiano portato il Governo a non costituirsi ‘parte civile’ nel processo in corso presso il tribunale di Roma”.

Già lo scorso maggio un altro parlamentare Pd, Giuseppe Provenzano, aveva presentato un’interrogazione sul tema a cui il viceministro degli Esteri Cirielli aveva risposto garantendo “l’impegno ad assicurare giustizia e onorare la memoria dei caduti” e a “giungere a una piena verità sulla drammatica imboscata”, ma precisando che il governo doveva anche “considerare l’interesse nazionale nel suo complesso”. Una risposta che prendeva tempo e che nei fatti si è tradotta nella non costituzione di parte civile, senza una motivazione ufficiale. Per questo ora l’opposizione torna a chiederne conto.

Ma non si muove solo il Pd: sul caso Attanasio e di riflesso sulla crisi securitaria e umanitaria nella Repubblica Democratica del Congo, solo nel 2023 le interrogazioni sono state sette. Cinque di queste ancora aperte. Ovvero, ancora senza risposta. Oltre alle due già citate, si registrano un’interrogazione a risposta scritta depositata lo scorso febbraio da Nicola Fratoianni e rivolta al ministro degli Affari Esteri e a quello delle Imprese e del Made in Italy, in cui si chiedeva – oltre a eventuali misure sulla crisi umanitaria in corso nella Rd Congo e sul traffico di materie prime – “quali iniziative diplomatiche abbia assunto o intenda assumere (il governo) affinché si ottenga verità e giustizia sugli omicidi di Luca Attanasio, Vittorio Iacovacci e Mustapha Milambo”. Ad oggi, ancora nessuna risposta.

Più recente, l’interrogazione a risposta scritta dell’onorevole Tino Magni (Alleanza verdi sinistra) che lo scorso 26 settembre, sempre rivolgendosi al ministro degli Esteri e a quello delle Imprese e del Made in Italy, domandava di nuovo “quali motivazioni abbiano portato il Governo a non costituirsi ‘parte civile'” e “quali iniziative diplomatiche il Ministro degli Esteri abbia assunto o intenda assumere affinché si ottenga verità e giustizia sugli omicidi di Luca Attanasio, Vittorio Iacovacci e Mustapha Milambo”. Anche qui, risposte ancora non pervenute.

Ma non sono solo le opposizioni a muoversi. Negli ultimi due mesi, altre due interrogazioni portano la firma di esponenti della maggioranza. Il taglio però è diverso: il 19 settembre l’onorevole Stefania Pucciarelli (Lega) e il 23 ottobre l’onorevole Fabio Rampelli (Fratelli d’Italia) sollevano entrambi un medesimo quesito: a seguito di notizie di stampa, si chiede al ministro Antonio Tajani di fare chiarezza su un presunto traffico di visti che avrebbe coinvolto alcuni funzionari dell’ambasciata d’Italia a Kinshasa. Pucciarelli domandava “di sapere se il Ministro in indirizzo, allo stato delle sue conoscenze, possa confermare i fatti relativi al traffico di visti e a eventuali fatti corruttivi che coinvolgerebbero ex funzionari della nostra ambasciata”. Il mese successivo, l’on. Rampelli nella sua interpellanza parlava addirittura di “un vero e proprio sistema che vedeva collaboratori e funzionari dell’ambasciata coinvolti in un racket di visti rilasciati dietro il pagamento di cifre esorbitanti che oscillavano tra 5-6mila dollarie pertanto, “considerata la gravità dei fatti” chiedeva “se e quali urgenti iniziative di competenza, anche di carattere ispettivo, il Governo intenda assumere per contribuire a fare piena luce sull’esistenza di un sistema diffuso di compravendite dei visti Schengen presso le sedi diplomatiche italiane.”

Anche quest’ultima interpellanza è ancora in corso, ma due giorni dopo, il 25 ottobre, il ministro Tajani ha disposto l’immediato rientro di alcuni funzionari e la sospensione temporanea del servizio visti nazionali a Kinshasa. “Altre misure seguiranno” ha aggiunto il vicepremier durante il question time alla Camera, dove ha spiegato: “Ad agosto ho disposto l’invio di missioni ispettive straordinarie in Pakistan, Sri Lanka e Bangladesh. Nei giorni scorsi, una simile missione ha ispezionato le ambasciate a Kinshasa e Brazzaville. Ulteriori ispezioni sono previste anche in altre regioni, quali l’America Latina” e i risultati “sono a disposizione delle competenti autorità, anche giudiziarie”, a cui seguirà “una profonda revisione delle procedure di rilascio dei visti” e un “incremento degli organici” anche tramite un rafforzamento dell’organico delle sedi più esposte con personale della Polizia di Stato.

Intanto, resta la sospensione totale del rilascio dei visti in Rd Congo, mentre l’est del Paese (dove risiedono diversi italiani, per la maggior parte cooperanti e missionari) fronteggia un nuovo drastico peggioramento della sicurezza: il gruppo armato dell’M23 nell’ultimo mese è tornato ad avanzare, riconquistando territorio e minacciando nuovamente da vicino proprio la città di Goma, dove vivono circa due milioni di persone, tra cui molti sfollati giunti negli ultimi mesi dalle aree interne. Gli scontri si estendono nei territori di Masisi e Rutshuru, ivi compresa la zona di Kibumba, proprio dove hanno perso la vita Attanasio, Iacovacci e Milambo, su quella route nationale 2 mai visitata dagli inquirenti italiani.

La situazione è talmente preoccupante che il Segretario di stato statunitense, Antony Blinken, nel bel mezzo della polveriera mediorientale, ha trovato il tempo di chiamare, con due telefonate distinte, i presidenti della Rd Congo Félix Tshisekedi e del Rwanda Paul Kagame, invitando entrambi “a prendere provvedimenti per allentare la situazione, compreso il ritiro delle truppe dal confine”. I quasi 200mila sfollati di queste ultime settimane vanno ad aggiungersi a quelli già esistenti, portando secondo l’Ocha (l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari) il numero totale di sfollati interni congolesi a un numero record, mati toccato prima: 6,9 milioni. Il 20 dicembre sono previste le elezioni presidenziali, ma il timore è che la situazione drammaticamente instabile del Nord Kivu impedisca a milioni di congolesi dell’est di potersi recare alle urne.