Sin dal primo giorno, è stato ben chiaro quale fosse la logica sottesa ad ogni azione di questo governo: il potere per il potere. In questo primo anno infatti, abbiamo avuto assaggio della famelica aggressione di ogni spazio istituzionale, politico, culturale, mediatico con la mirabolante meta di riaffermare la supremazia egemonica della destra. Una destra che non tollera intoppi o rumori di fondo, tanto che, non paga dei numeri, Meloni sinora ha collezionato la bellezza di 43 decreti-legge e 21 questioni di fiducia. Il risultato è un Parlamento svilito, relegato ad ente ratificatore di decisioni già prese, nonostante gli appelli del Presidente della Repubblica. Mai nessun governo aveva fatto peggio della Premier essendo giunta finanche a diffidare il Parlamento dal presentare emendamenti alla legge di bilancio.

Potrebbe bastare allora questa modalità operativa quasi indisturbata per appagare gli appetiti di una destra bulimica di potere e controllo? La risposta è nel progetto di riforma costituzionale presentato la settimana scorsa, ça va sans dire, dal governo. Un modello non nuovo, ma mutuato dall’esperienza Berlusconi, quando i saggi di Lorenzago, padri costituenti, capeggiati dal sempreverde Calderoli, partorirono la sciagurata riforma del 2003 bocciata sonoramente dagli elettori e anche dalla dottrina costituzionale di quei tempi, quando l’illustre Giovanni Sartori giunse a definire l’impianto derivante dal premierato come “una costituzione incostituzionale”.

Il perché è presto detto: il premierato, la cui definizione stessa indica un sistema parlamentare nel quale il potere esecutivo sovrasta il potere legislativo, si rivela uno scempio giuridico. Una riforma che muta radicalmente la nostra forma di governo parlamentare, indebolisce il Presidente della Repubblica, costituzionalizza i ribaltoni e il correntismo interno al governo e non ha eguali in tutto il panorama del diritto costituzionale comparato. Un pasticcio che in buona sostanza disattende gli stessi obiettivi dichiarati, ossia avere un premier eletto direttamente dal popolo, un sistema che eviti ribaltoni e garantisca un governo più stabile.

Se è vero che il premier sarebbe eletto direttamente dal popolo, non è altrettanto vero che i cittadini abbiano la garanzia di non veder ribaltato il risultato elettorale e che il governo conservi una sua stabilità, perché lo stesso disegno di legge consente che il Premier eletto possa essere sostituito da un altro parlamentare della stessa maggioranza. In poche parole, gli elettori che hanno votato Meloni Premier, potrebbero ritrovarsi un governo guidato da Salvini, Tajani o Gasparri, un premier quindi non eletto, ma con poteri addirittura maggiori del premier eletto, perché l’unico dotato del potere effettivo di scioglimento delle Camere e quindi di un potere di intimidazione del Parlamento che si ritroverebbe ad essere minacciato di scioglimento e nuove elezioni ogniqualvolta non ritenga di accettare l’indirizzo politico espresso dal Premier subentrante. Ne deriva un Parlamento con una funzione totalmente ornamentale, senza un reale potere di indirizzo e di controllo, continuamente sotto scacco, e un governo tutt’altro che stabile, sotto la costante minaccia di un correntismo interno volto a destituire e scalzare il premier eletto.

Un sistema vieppiù privo dei necessari contrappesi, perché il progetto di riforma prevede che il premier eletto fruisca di una maggioranza del 55% grazie a un premio di maggioranza costituzionalizzato ma incostituzionale in quanto già bocciato da ben due sentenze della Corte Costituzionale. In tal modo il Parlamento a immagine e somiglianza del premier eletto, che peraltro conserverebbe la facoltà di nominare gli eletti per via delle liste bloccate che rimangono in vigore, potrebbe essere autosufficiente, nella maggioranza che sostiene il governo, per l’elezione del Presidente della Repubblica e dei giudici della Corte Costituzionale.

Avremo quindi un premier eletto, ma non forte, un Presidente della Repubblica relegato a cerimoniere in un rapporto diarchico che lo delegittima perché sempre soccombente di fronte ad un organo di diretta derivazione della volontà popolare, spossessato dei poteri che ne giustificano l’esistenza come potenziale “contropotere”. Le costituzioni liberal democratiche, scriveva Sartori, sono strutture che proteggono le libertà dei cittadini limitando, vincolando e sottoponendo a controllo l’esercizio del potere politico. per questo si disegnano sistemi politici nei quali ogni potere è delimitato da altri poteri, è il principio del “potere che limita il potere” e vale per tutte le varianti delle democrazie. Ma non per il modello delineato da Sua Maestà Re Giorgia, famelica di pieni poteri.

Il programma allora è manifestamente quello di fare una scorpacciata di potere, volendo impadronirsi della Presidenza della Repubblica e poi della Corte costituzionale fino ad assediare l’autonomia della magistratura attraverso la separazione delle carriere, sottomettendo la magistratura inquirente al controllo dell’esecutivo. E così via. Se questo programma andrà a buon fine, ci troveremo al cospetto di un sistema di premierato onnipotente, di una sorta di stregone che viola l’essenza del costituzionalismo. “E così ci troveremmo a vivere con una “costituzione incostituzionale”, una costituzione nominale che si riduce ad essere “la formalizzazione della localizzazione effettiva del potere politico a esclusivo beneficio dei suoi effettivi detentori”. Mala tempora currunt.

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