I dati più attesi, quelli sull’avanzamento nella spesa effettiva di tutti i fondi a disposizione, stavolta non ci sono. Perché darli ora, mentre sono ancora in corso le interlocuzioni in corso con la Ue per la revisione e rimodulazione del piano, avrebbe potuto essere fuorviante. Spulciando i due tomi dell‘ultima relazione della Corte dei Conti sullo stato di attuazione del Pnrr nel primo semestre 2023 si trova comunque qualche indizio. E un giudizio esplicito: “Lo iato fra adempimenti procedurali e spesa effettiva resta ancora molto significativo e ciò non può non destare attenzione, anche se si voglia considerare il Piano come un programma “per obiettivi” e non un Piano “di spesa””. Perché “comunque appare difficile raggiungere gli obiettivi senza utilizzare le risorse“.
Un passo indietro. Come sta procedendo l’attuazione degli obiettivi? La magistratura contabile conferma che in base ai dati disponibili nel sistema di rendicontazione Regis le 21 milestone e i 7 target quantitativi del periodo gennaio-giugno, da centrare per ottenere la quarta rata da 16 miliardi, sono stati faticosamente raggiunti dopo aver concordato con Bruxelles numerose modifiche e in alcuni casi rimodulazioni. E aggiunge che, dall’avvio a oggi, 41 misure “possono ritenersi completate sotto il profilo della rendicontazione nei confronti dell’Unione europea” ma “non possono considerarsi ultimate sotto il profilo attuativo” visto che il livello di spesa dichiarata sostenuta dalle amministrazioni titolari era, al 27 settembre, di soli 671 milioni: “Solo il 12 per cento delle dimensioni finanziarie delle medesime misure di investimento e riforma”.
E qui si torna al tema del reale utilizzo dei soldi, che si rischia di perdere di vista nel balletto dei negoziati con la Ue per ottenere i sudati esborsi. Per farsi un’idea delle criticità aiuta il lavoro della Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, che ha preso in esame in corso d’anno un campione di 31 tra investimenti e riforme di tutte le missioni del Piano nazionale e di quello complementare con scadenze principalmente nel corso del 2023, per un valore complessivo di 35,5 miliardi. Tra gli altri la migrazione al cloud delle pubbliche amministrazioni, che vale 1 miliardo, la promozione delle rinnovabili per le comunità energetiche e l’autoconsumo (2,2 miliardi), il rafforzamento delle smart grid (3,6 miliardi), gli alloggi per studenti universitari (960 milioni), i piani urbani integrati (2,4 miliardi) e gli interventi per la sicurezza antisismica degli ospedali (1,6 miliardi).
Dalla ricognizione è emerso che solo 20 delle 31 misure esaminate hanno visto le amministrazioni responsabili chiedere effettivamente delle erogazioni. Al 30 giugno, le richieste di anticipi o rimborsi ammontavano a “un totale di circa due miliardi di euro a fronte di uno stanziamento pari a 18,5 miliardi di euro“. Nel triennio 2020-2023 la spesa sostenuta è stata di 2,47 miliardi sul totale di 31,1 miliardi stanziati per quegli interventi nell’intero arco del piano: la percentuale effettivamente spesa è stata quindi del 7,94%. “Non può tacersi di un tasso ancora relativamente basso sotto il profilo della capacità di spesa”, commenta la Corte, che spiega come questo dipenda solo in parte dalla struttura del piano (che impone di raggiungere prima obiettivi procedurali, come la pubblicazione di avvisi e decreti, e poi spendere) e ponga diversi problemi, dai divari territoriali al rischio che ex post le risorse previste si rivelino insufficienti per realizzare quello che si era immaginato.
L’accumulo di risorse in attesa di impiego – sui conti correnti con i trasferimenti a fondo perduto e i prestiti ci sono al momento 115,7 miliardi di euro – rende necessario correre per realizzare gli obiettivi nei tempi programmati. E “già nella fase istruttoria nei primi mesi del 2022, come nello svolgimento dei procedimenti per la realizzazione dei bandi, si sono accumulati ritardi che rendono difficoltoso il conseguimento dell’obiettivo concordato con la Commissione europea di assegnare i lavori di realizzazione delle opere entro i tempi stabiliti per il 2023″. A questo si aggiunge il nodo dei progetti in essere, cioè quelli che erano stati avviati già nel 2020 prima del varo del Next Generation Eu e sono stati ritenuti finanziabili se rispettano i requisiti del regolamento sul Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza. Questo ha “garantito un tempestivo avvio dell’attuazione degli interventi, molti dei quali già portati a conclusione”, ma senza la certezza che risultino ammissibili ai fini dell’accesso alle rate di finanziamento.
La Corte non manca nemmeno questa volta di mettere, infine, il dito nella piaga delle carenze della pa amplificate dalla necessità di travasare i dati delle singole amministrazioni nel sistema di rendicontazione Regis. Difficoltà che hanno riguardato soprattutto i Comuni, “per la cronica mancanza di personale e di specifica qualificazione di quello disponibile soprattutto nel momento in cui i dipendenti sono impegnati nell’attuazione dei nuovi interventi”. Non ha aiutato la tempistica imposta dal piano, che “ha influito negativamente sulla possibilità di una riorganizzazione amministrativa degli enti che sarebbe stata funzionale alle esigenze di pronta attuazione degli interventi”. Il risultato si conoscerà l’anno prossimo, quando nella relazione annuale sarà inserito il quadro completo della spesa sostenuta nel 2023.