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Cronaca - 9 Novembre 2023
I cooperanti usciti da Gaza: “È una catastrofe umanitaria. Mancano acqua e medicine, rischi sanitari per gli sfollati”
“Gli ospedali sono al collasso, mancano acqua, medicine, non ci sono anestetici. Le operazioni chirurgiche sono svolte pure sui pavimenti perché le strutture sono ormai stracolme. A volte i medici sono costretti ad amputare perché mancano gli strumenti per poter curare i feriti. E c’è il rischio serio che si diffondano epidemie per le condizioni igienico-sanitarie precarie, soprattutto nei campi profughi”. Jacopo Intini, Amal Khayal e Giuditta Brattini sono alcuni dei cooperanti riusciti ad uscire da pochi giorni dal valico di Rafah, tra la Striscia di Gaza e l’Egitto. Nel corso di una conferenza alla Camera dei deputati promossa da AOI, l’associazione che riunisce le ong italiane, con la collaborazione della deputata Pd Laura Boldrini, sono stati loro a descrivere ai media le condizioni in cui da un mese è costretta a vivere la popolazione palestine della Striscia di Gaza, sotto i bombardamenti e sotto l’assedio totale da parte di Israele, in risposta all’attacco subito dai miliziani di Hamas lo scorso 8 ottobre. “Abbiamo dovuto interrompere le nostre operazioni sia per questioni di sicurezza, sia per lo sfollamento di tutto il nostro staff locale che vive ancora sotto le bombe, senz’acqua e senza cibo. Alcuni hanno perso parte delle proprie famiglie”, spiega l’aquilano Jacopo Intini, capo missione del CISS (Cooperazione Internazionale Sud Sud), precisando di “vivere come una sconfitta” il fatto di essere usciti. “È molto difficile accettare di essere qui al sicuro, in Italia, mentre i nostri colleghi rischiano la morte ogni giorno”.
I numeri, ricorda, mostrano la portata di quella che definisce come ‘una catastrofe umanitaria senza precedenti“: “In un mese nella Striscia sono state superate le vittime di 21 mesi di guerra in Ucraina: oltre dieci mila morti. Manca tutto, non ci sono posti sicuri, anche i rifugi delle Nazioni Unite sono stati colpiti o stati danneggiati. Gli ospedali accolgono anche le famiglie sfollate: abbiamo visitato rifugi che ospitano 35mila persone, ma che hanno solo quattro bagni. Questo comporta come al mattino la gente sia costretta a fare ore di fila per andare al bagno. Quando arriva, poi, non c’è più acqua”. E ancora: “Israele ha interrotto anche il flusso nella rete idrica, così si beve acqua di mare filtrata, mischiata ad acqua distillata per aumentarne la quantità”, denuncia. E ricorda come siano circa 660mila gli sfollati che cercano riparo in rifugi di fortuna o nelle scuole dell’Unwra (l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi, ndr).
Accanto a Jacopo c’è la moglie, Amal, palestinese di 31 anni. Non riesce a trattenere la commozione, ricordando come la sua famiglia sia rimasta nella Striscia: “L’ultimo pensiero prima di lasciare la mia terra? Stavo immaginando il volto di mia madre mentre lasciavo Gaza, quello di mio padre. Il loro viso e le loro preghiere le posso sentire nella mia testa. Sono tre giorni che cerco di mettermi in contatto con loro, ma non ci sono riuscita”, spiega. E attacca: “Noi palestinesi ci sentiamo disumanizzati, umiliati. È disumano costringere più di un milione di persone a lasciare da un giorno all’altro le proprie case e la propria vita in poche ore, come Israele ha fatto con la popolazione del Nord della Striscia di Gaza. Lavoro da dieci anni nella cooperazione internazionale, ma oggi ho la sensazione che la comunità internazionale ci abbia abbandonato. Credo in quello che faccio, ma è troppo grande la sensazione che ogni sforzo sia vano”.
Una condanna alla comunità internazionale che si ripete nelle parole di Giuditta Brattini, che parla di ‘silenzio assordante’ e denuncia: “Le risoluzioni Onu sono carta straccia, Israele sente di avere sempre il semaforo verde”. E racconta l’ordine di evacuazione imposto da Tel Aviv a un ospedale oncologico al Nord di Gaza, dove sono ricoverati circa 60 bambini malati di cancro: “Non esistono altri ospedali nella Striscia che potrebbero garantire delle cure adeguate”. Così, attacca Netanyahu e il suo governo: “Non è immaginabile che un ministro dello Stato “democratico” di Israele (il titolare della Difesa, Yoav Galant, ndr) dica che il suo Paese farà una guerra contro “gli animali” riferendosi ai palestinesi. Nessuno della comunità internazionale ha detto nulla. E non è sufficiente dire che sotto gli ospedali ci sono i tunnel per bombardarli, prima bisogna provarlo. Io ci vado da venti anni a Gaza, ho visto costruire gli ospedali. Poi non so se proprio lì sotto abbiano fatto i tunnel, come dice Israele. Quel che è certo è che non puoi uccidere decine di civili perché devi stanare un terrorista, come avvenuto con i bombardamenti sulle ambulanze”.
La richiesta, unanime, è quella di un immediato cessate il fuoco, negato però da Israele. Ed è l’ex presidente della Camera, la dem Laura Boldrini a incalzare il governo Meloni, chiedendo “spiegazioni” sull’astensione dell’Italia proprio sulla risoluzione Onu sul cessate il fuoco: “L’esecutivo fugge“. E ancora, rivolta a Tel Aviv: “All’indomani del 7 ottobre abbiamo tutti detto che Israele aveva il diritto di difendersi, rispettando il diritto internazionale. Di fronte a quanto abbiamo sentito non c’è nessuno che possa dire che lo stia rispettando. Ma il rispetto dei diritti umani non è un optional, non si ferma ad Israele”.