Con l’accordo siglato tra Giorgia Meloni e il premier albanese Edi Rama, l’Italia conta di trasferire una parte dei migranti salvati in mare in Albania, da trattenere in due centri da 3.000 posti che nell’intero anno dovrebbero ospitare fino a 39.000 persone. A loro si applicherà l’esame accelerato della domanda d’asilo: entro 4 settimane si deciderà se hanno diritto ad essere trasferite e accolte in Italia o se vanno rimpatriate. Immaginare i due centri in attività è oggi un puro esercizio di fantasia. Perché serviranno nuove leggi, ad esempio per la necessaria attività dei magistrati competenti, e in ogni caso l’attuale normativa europea non contempla domande d’asilo presentate fuori dai confini Ue, né il loro esame. Il famoso carro è parecchio davanti ai buoi e l’unica cosa certa è il costo elevato della macchina burocratica che l’Italia intende trasferire. Ma stiamo al gioco del governo e proviamo a lo stesso a farci un’idea usando i dati ufficiali.
Secondo l’esecutivo potranno essere trasferiti in Albania solo uomini adulti. Niente donne, minori e persone vulnerabili. Solo persone salvate in mare da navi italiane, della Guardia costiera o della Guardia di finanza. Niente persone sbarcate per conto proprio (il 28% nel 2023) o soccorse dalle Ong (il 4%). Ma soprattutto, dovranno venire da paesi che l’Italia considera sicuri. Tra i principali paesi d’origine dei 145mila migranti sbarcati dall’inizio dell’anno, quelli “sicuri” sono solo Tunisia e Costa d’Avorio. Sono 16mila i tunisini e 15 mila gli ivoriani, dei quali il 70% composto da uomini adulti. Al netto di chi è sbarcato da solo o è stato soccorso dalle Ong, quelli trasferibili in Albania sarebbero dunque 15.000 circa.
Queste 15mila persone saranno sottoposte all’esame accelerato della richiesta d’asilo. Una parte si vedrà accordare il diritto alla protezione e andrà trasferita in Italia. Ma concediamo un vantaggio al governo e immaginiamo che tutte le 15mila domande saranno respinte. A questo punto è verosimile che tutti decidano di fare ricorso. Nell’attesa dell’esito finale, il giudice può decidere anche di sospendere la procedura di rimpatrio, cosa che attualmente accade spesso ai tunisini, il cui Paese non è giudicato poi così sicuro. Ma concediamo un altro vantaggio al governo e immaginiamo che nessuna sospensiva sia concessa e che nonostante i ricorsi si proceda per i rimpatri.
A partire dai dati ufficiali sui fogli di via emessi e sui rimpatri effettivi, l’Ispi ha calcolato che il tasso di rimpatrio dei cittadini africani è del 15%. Dato in linea con quanto accaduto anche nei primi 6 mesi dell’anno, dove l’Italia non è riuscita a rimpatriare che il 12% dei migranti ai quali ha negato la protezione internazionale. Ma dovendoci basare essenzialmente su tunisini e ivoriani, i tassi di rimpatrio sono rispettivamente del 13% e del 2%. La media fa 7,5% e significa che dall’Albania verranno rimpatriate 1.125 persone. Poche? Con tutta probabilità saranno ancora meno, se non altro perché le presenze di migranti nei centri risentiranno della stagionalità degli sbarchi. Insomma, c’è l’eventualità che i rimpatri si riducano davvero a poche centinaia, le stesse che saremmo riusciti a rimpatriare se tutto fosse stato fatto in Italia. Ma i costi per il contribuente saranno decisamente maggiori, a partire dalle diarie e dalle indennità di trasferta per polizia, magistrati, interpreti, mediatori culturali, sanitari, psicologi, infermieri e quant’altro.