Il commento che Nunzia De Girolamo, conduttrice del programma Avanti Popolo in onda su Rai Tre al posto di Carta Bianca, ha affidato a Instagram per rispondere alle attiviste e alle giornaliste che hanno sottoscritto una lettera aperta in cui criticavano la conduzione della puntata del 31 ottobre scorso, è una manipolazione a dir poco maldestra.
L’oggetto del botta e risposta tra la conduttrice e chi le ha rivolto una pioggia di critiche, è stata l’intervista alla donna che è stata vittima di violenza a Palermo, la notte tra il 6 e il 7 luglio scorso. Si è trattato di una trasmissione condotta pedestremente, secondo i canoni di quella televisione che solletica la pancia degli telespettatori ma non la testa, e che disinforma facendo ascoltare invece che parole competenti sul fenomeno della violenza contro le donne, le opinioni del pubblico presente in studio che si è pronunciato su un fenomeno complesso e delicato, attingendo ad altrettanti stereotipi e pregiudizi. Modalità che neutralizzano la forza di qualunque testimonianza.
La conduttrice si è detta “stupita da questo Maschilismo latente, che induce alcune donne a dire ad una vittima di non parlare, di non metterci la faccia e addirittura di nascondersi. Come se si dovesse vergognare. Lei che è la vittima! Come si può giudicare la volontà di liberarsi, pubblicamente di un peso enorme?”.
C’è da augurarsi che De Girolamo non faccia finta di non capire. E c’è da augurarsi che non creda, davvero, che l’elaborazione di un trauma o un atto di liberazione si possano fare su un ring spietato come quello del linguaggio televisivo. Nascondersi dietro il consenso informato della donna oltretutto appare una giustificazione tanto debole quanto cinica.
Non sono certo le attiviste che chiedono alla vittime di nascondersi. Non si mette in discussione il loro diritto di scelta. Si chiede ancora una volta e con forza, che si rispetti la deontologia professionale e che si affronti il tema della violenza contro le donne rispettando la policy di genere approvate dal Cda della Rai. Si chiede che quando le donne scelgono di metterci la faccia, non siano strumentalizzate per fare audience. Si chiede che si smantellino davvero i pregiudizi invece di metterli in scena e infilarli nel megafono televisivo senza una efficace e attenta informazione e una analisi competente del contesto in cui matura la violenza.
Non si tratta di controllare chi debba parlare in televisione ma di smetterla una volta per tutte di banalizzare il femminicidio, facendone pornografia del dolore. Il femminicidio non è un argomento da bar.
Durante la trasmissione del 31 ottobre, Nunzia de Girolamo ha letto alla donna, seduta accanto a lei, le frasi che si sono scambiati gli uomini accusati di stupro e le invettive violente che vengono rivolte sui social, espressione del peggiore hate speech: “Mi fa fatica leggere queste frasi ma lo devo fare” aveva detto la conduttrice prima di dare il via al profluvio di insulti. E perché mai, se sentiva la fatica di leggere quelle frasi lo “doveva fare”?
Quale valore aggiunto avrebbe dato all’informazione, la lettura di commenti volgari e violenti e la messa in onda di interviste cariche di ostilità e giudizi sulla vittima per poi inquadrarne il volto e mostrarlo al voyeurismo del pubblico? Perché sollecitare le sue reazioni emotive e e darle in pasto al pubblico?
Due giorni dopo la messa in onda del programma, la Commissione pari Opportunità della Rai e l’Unione Sindacale Giornalisti Rai avevano diffuso una nota indirizzata a Marinella Soldi, presidente Rai e a Roberto Sergio, in cui stigmatizzavano una trasmissione che “nelle modalità del racconto, ignora i compiti del servizio pubblico radiotelevisivo ed è in contrasto con la policy di genere approvate dal consiglio di amministrazione della Rai” e si chiedeva una presa di posizione “sull’accaduto e assumendosi la responsabilità di una gestione dell’informazione e del servizio pubblico adeguata al ruolo informativo, sociale e culturale della Rai”.
Oggi la risposta piccata di De Girolamo.
@nadiesdaa