Cultura

Si scatena (ancora) il dibattito social sul cavallo imbalsamato di Cattelan: “Ne simboleggia solo la morte”, “No, fosse un uomo non lo esibireste”

Daniela Collu posta il cavallo imbalsamato di Cattelan e viene travolta dalle critiche dei propri follower

di Davide Turrini

Daniela Collu posta il cavallo imbalsamato di Cattelan e viene travolta dalle critiche dei propri follower. Non ci era mai capitato di vedere in una diatriba social così tanti commenti – peraltro pacati – contro chi ha pubblicato un post (oltre il 90% di 400 commenti non è cosa da poco per descrivere un trend ndr). In pratica la blogger e conduttrice radiotelevisiva ha pubblicato su Instagram la foto del cavallo imbalsamato dell’opera Novecento firmata Maurizio Cattelan, presente in forma permanente al Castello di Rivoli di Torino dal 1997 spiegando la versione ufficiale dell’interpretazione dell’opera: “Si chiama come il secolo in cui siamo nati – spiega Collu – quello in cui la maggior parte delle sciagure che ora non sappiamo manovrare sono state costruite, un secolo di errori, di scoperte, di sconfitte e vittorie. È la natura morta più disorientante, straniante e cruda che si possa immaginare, parla di simboli decaduti, di corpi infranti, di certezze mancate, di fallimenti annunciati. Di quel senso di impotenza e di inerzia umana che ancora, in un nuovo secolo, ci soffoca terribilmente”.

Solo che volente o nolente – questo non si sa – la Collu torna su un tema oramai masticato dagli addetti ai lavori che ha investito le opere d’arte che creano choc emotivo e soprassalto etico mostrando animali morti o, come nel caso di rappresentazioni teatrali anche animali che vengono uccisi durante lo spettacolo sempre per rappresentare la cosiddetta “trasfigurazione del simbolico”. Parliamo del celebre Genet a Tangeri del 1985 dei Magazzini Criminali a Sant’Arcangelo dove venne ucciso un cavallo in scena o le più recenti performance di Rodrigo Garcia che ha buttato nell’acqua bollente aragoste vive sul palco.

Insomma, il Dipartimento Scuola Educazione può aspettare. Anzi no. E sulla Collu che tenta di dare giudizi interpretativi e di gusto sull’arte contemporanea (valori peraltro inventati prima di ogni altra cosa dal mercato degli addetti ai lavori primariamente a livello economico come spiega bene Donald Thompson ne Lo squalo da 12 milioni di dollari – Mondadori) si riversano dubbi e perplessità sull’opportunità di sfruttare la salma di un essere vivente per creare, ricordiamolo sempre, profitto privato. “Povera bestia. Fosse un corpo umano non sarebbe tollerato”. “Non è rispettoso esporre così la morte di un animale”. “Lo trovo terribile. E se al posto del cavallo ci fosse un uomo?”. Ma soprattutto, tra le decine e decine che lamentano pacatamente l’assurdità dell’estremismo artistico contemporaneo: “Io vedo semplicemente le pochezze di un uomo (non riesco a definirlo artista) che ha tolto la dignità a uno dei più grandi capolavori che la Natura abbia creato”. Già. Il punto della pacifica contestazione nell’ora di storia dell’arte contemporanea made in Collu pare proprio questa riflessione antispecista e niente più. Rimane infine una considerazione, sempre sul piano del simbolico: se si vuole ricevere il forte impatto di un’opera che trasfigura sul piano del simbolico l’identità in crisi dell’umanità, e la sua possibile rinascita, nella stanza attigua al cavallo di Cattelan, a Rivoli, c’è la Venere degli stracci di Pistoletto. Provare per credere.

Credit foto: Museo di Rivoli

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