Gli esperti incaricati dalla Regione Veneto di valutare gli effetti sull’ambiente della ripresa dell’estrazione di gas metano dai fondali dell’Adriatico non hanno dubbi: “Risulta inaccettabile, sia sotto il profilo ambientale che socio economico, il minimo incremento del rischio di subsidenza legato all’estrazione del gas metano in Alto Adriatico. In mancanza di garanzie di monitoraggio sul fenomeno della subsidenza, che consentirebbero tempestivi interventi volti a scongiurare danni al territorio, si ritiene che per principio di cautela l’autorizzazione delle attività estrattive non possa essere concessa”.
Un primo punto fermo viene messo nel braccio di ferro che si profila tra il governo nazionale e la Regione Veneto. Seguendo una linea che ha sempre accompagnato l’amministrazione regionale, Luca Zaia vuole evitare che si ripetano i disastri causati a partire dagli anni Cinquanta, con abbassamenti impressionanti del suolo sulle coste del Polesine e nel golfo di Venezia. Dal 2002 l’attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi è vietata, ma nel 2022 un decreto legge ha riaperto la possibilità di coltivazione dei giacimenti “in alcune zone comprese nel tratto di mare tra il 45º parallelo e il parallelo passante per la Foce del ramo di Goro del fiume Po, a una distanza della linea di costa superiore a nove miglia”. Comunque l’avvio dello sfruttamento era subordinato a una verifica scientifica sugli effetti ambientali. È stato quindi istituito un “Tavolo tecnico idrocarburi” da parte di Ministero dell’Ambiente, Ispra, Regione Veneto e Regione Emilia-Romagna.
Sotto osservazione sono finite le concessioni Eni (Gaia e Rosanna) ed Energean Italy (Valentina, Raffaella, Emanuela e Melania) per un valore complessivo stimato di 10 miliardi di metri cubi da produrre in 15 anni. Il Veneto, per anticipare i tempi, ha promosso un gruppo di lavoro composto da studiosi universitari di Venezia e Padova, per una “valutazione preliminare” da portare al tavolo governativo. Il responso, contenuto in un documento di dieci pagine, è negativo. Innanzitutto mancano dati significativi e attendibili per valutare il fenomeno e sarebbe necessario avviare un monitoraggio approfondito, che richiede parecchio tempo. In secondo luogo emergono criticità riferite sia alla subsidenza, che ai danni all’ecosistema marino.
“A RISCHIO AREE SIC PER DELFINI E TARTARUGHE”. La posa di condotte sottomarine e l’utilizzo delle piattaforme per estrarre il gas avrebbe effetti sia sull’attività di pesca che sui Siti di Importanza Comunitaria (Sic) inseriti nella Direttiva Habitat a tutela del tursiope (Tursiops truncatus) e della tartaruga marina (Caretta caretta). Attualmente diversi enti stanno operando su un’area vasta, tutelando le specie marine. Pesca e aree Sic sono in correlazione. La creazione delle seconde ha ridotto gli ambiti della pesca, mentre l’Unione europea ha dato indicazioni per un aumento dell’estensione dei Sic. Le estrazioni del gas potrebbero, di conseguenza, mettere in discussione gli accordi a livello europeo o limitare la pesca.
“MONITORARE LE COSTE”. La subsidenza (abbassamento del terreno) è l’altro grande problema che preoccupa gli scienziati. “Ad oggi le ‘mappe di subsidenza’ hanno rilevato una situazione di fragile equilibrio che induce a porre particolare attenzione anche a piccoli incrementi di abbassamento del terreno che possano generare effetti significativi in termini di incremento del rischio idraulico, erosione della costa e delle morfologie lagunari (barene…) e il processo di intrusione salina nei fiumi”. Se si aggiunge che il livello del mare si è innalzato di oltre 3,5 mm all’anno nell’ultimo trentennio e che una parte del territorio è sotto il livello del mare, un’ulteriore subsidenza potrebbe avere gravi conseguenze. Per questo gli esperti consigliano di avviare monitoraggi più approfonditi, visto che i rilievi con il satellite non sono sempre in grado di misurare variazioni di qualche millimetro. Che le estrazioni causino subsidenza è provato. “Non è ancora noto – invece – se l’entità del fenomeno indotto dalla produzione dei giacimenti possa essere tale da contribuire a modificare in modo permanente l’assetto del territorio, comportando di conseguenza l’incremento di rischio idraulico o di erosione della costa”. In mancanza di questi dati, il parere è negativo. Contro le trivellazioni sono sorti numerosi comitati in tutto il Polesine, con la partecipazione trasversale di amministratori pubblici.
IL GOVERNO TIRA DRITTO – Che si profili uno scontro è confermato dalla volontà di Zaia di rispettare il parere degli scienziati. Se necessario farà ricorso contro le decisioni del governo. Anche perché il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha ribadito: “Le ragioni che ci hanno motivato nell’ampliare le concessioni estrattive sono purtroppo ancor più valide oggi a fronte del nuovo conflitto in Medio Oriente e del perdurare della guerra di invasione russa in Ucraina, con l’accrescere delle tensioni sul fronte energetico. Ovviamente, con l’estrema cautela che necessita nel caso dell’Adriatico: massima attenzione all’ambiente e massima condivisione tecnica con gli esperti per operare in condizioni di assoluta sicurezza con il più ampio consenso”. Il ministro non pone limiti alla ricerca di fonti energetiche. “L’Italia deve accelerare sulla strada della autonomia energetica e della diversificazione delle fonti di approvvigionamento utilizzando al meglio tutto quello che si può produrre nel nostro territorio. Energia rinnovabile, idroelettrico, gas, carbone, in prospettiva anche energia nucleare. Non possiamo dipendere da altri”.