Ciao piccola grande Indi!

Oggi non si parla d’altro. Da giorni ci si interroga su quella risposta a mio avviso impossibile. Una bimba di pochi mesi muore. Una bimba giudicata incurabile. Ricoverata in un hospice che di per sé non dovrebbe neanche contemplare la presenza di bimbi al suo interno.

Non voglio esprimere opinioni che non mi trovano preparata. Non sono medico, non so e non conosco il dettaglio di ogni giorno di vita di questa creatura ma piango per lei e per tutti quei bambini cui la vita cambia il suono del carillon fino a infuocarsi in un elogio funebre incontenibile. Immagino i suoi abiti, le sue tutine, il biberon, i giochi, la piccola borsa con pannolini e cambio. E piango perché sento lo strappo che dilania i genitori di tanti cuccioli.

Mi concentro e prego, perché sono cristiana. Ma non basta a trovare un compromesso tra il senso di rabbia e quello di ingiustizia.
Ricordo casi di cronaca e drammi che incontro ogni giorno mentre cerco di dare una mano e continuamente fallisco consapevole di non essere nulla oltre una presuntuosa che pretende di voler essere utile rispetto un volere così alto e immenso che mi ride in faccia ad ogni mio quotidiano fallimento. Eppure, quel richiamo è prepotente e sento la necessita di andare.

Due genitori che devono assistere inerme alla loro bimba che si spegne. In assoluto l’esperienza peggiore per due giovani genitori.

Si poteva fare di più? Era giusto fare altro? Cosa esattamente poteva lenire e rendere giusto un fatto che la vita ha imposto a questa piccola innocente: mi sono chiesta se Indi avesse conosciuto le risate a crepapelle e il solletico, se avesse potuto godere nonostante la malattia delle canzoncine e delle paperelle nel bagnetto. Mi sono chiesta se tenerla in vita le avrebbe garantito il miracolo della cura o l’eroismo della battaglia o se forse accettare la realtà di un fine vita orchestrato sia stato per lei un gesto di liberazione.

Non sono temi che possono realmente prevedere un’unanime verità non fosse altro per la elaborazione delle informazioni che sono fonti indirette passibile di essere influenzate da fattori sociali, culturali, ambientali e mediatici. Resta la questione di fondo: personalmente non sono favorevole all’accanimento e al mantenere in vita se non ci sono presupposti di base che naturalmente devono essere evidenti, indiscutibili, oggettivi a livello mondiale. Non credo che soffrire anni senza poterlo scegliere sia un gesto pro-vita. Non credo che sia questo il principio di favorire la vita. E non credo che noi genitori siamo detentori della verità assoluta e destinatari di poteri di scelta sui nostri figli specialmente rispetto queste condizioni.
Si deve tentare tutto e con ogni mezzo possibile. Incluso accettare che nonostante questo non ci sia scelta.

Cure palliative, hospice, morte dolce e ogni pratica che renda meno cruento il passaggio deve essere considerata, applicata e favorita e non sempre accade purtroppo.

È doloroso. È doloroso anche costringere chi non ha scampo a sacrificare sé stesso perché chi lo ama, lo ama così tanto da poterlo lasciare andare in nessuno ed è doloroso amare così tanto da preferire lasciare andare che vedere la sofferenza ogni istante. Ma il malato non sempre può decidere e il dato deve essere solo scientifico.

Ciao Indi e ciao a quei bimbi che ci hanno lasciati o che ci lasceranno. Grazie piccoli eroi che attraverso lacrime, dolore, assenza di risposte ci insegnate e ci ricordate che siamo nulla. Puntini di sospensione in cielo che vi accoglie e brilla nei sogni di chi crede. Grazie per ricordarci che un profumo di un fiore o il passaggio di una farfalla è più di un dibattito è più di qualsiasi parola. La scienza va avanti e va sostenuta sempre, il diritto alla vita deve essere fuori discussione, il cordoglio e la vicinanza e la solidarietà sono il motore di un senso di civiltà.

I bambini muoiono per tante tremende ragioni. Basta pensare alla guerra. Un dramma che gli piove in testa e li strappa, li amputa e li uccide senza chiedere il permesso a nessuno e forse dopo tante notizie fa meno rumore. Un bambino che muore è la perdita di un pezzo di tutti noi. Un seme in meno in un futuro incerto. Non dimentichiamo mai che i bambini malati, uccisi, abusati, venduti, sono un male che non si può esaurire con una serie infinita di frasi e di teorie. Ogni giorno nell’aria ci sono dei respiri che mancano e sono quelli di troppi bambini.

Avere un figlio malato non rende meno grave il lutto. La sua morte non è la liberazione, non per tutti lo si affronta con le medesime emozioni. Un bambino che muore è un bambino che muore.

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