Politica

Formigoni è pronto a tornare in pista. Ha ancora molto da dare (ai lombardi soprattutto)

Il Celeste ha voglia di rivincita. Vuole tornare a far politica. Dicendo ai giornali di non aver ancora deciso se candidarsi alle elezioni europee del giugno prossimo, di fatto chiede una candidatura a Forza Italia. Roberto Formigoni domenica 12 novembre 2023 è tornato uomo libero: condannato a 5 anni e 10 mesi per corruzione, ha scontato la sua pena. Solo 5 mesi in cella, nel carcere di Bollate che si era scelto, presentandosi in portineria il 22 febbraio 2019. Poi, a luglio di quell’anno, aveva ottenuto la detenzione domiciliare, ospite in casa di amici. Nell’ottobre 2020 aveva chiesto l’affidamento in prova ai servizi sociali e aveva scontato il residuo di pena insegnando italiano alle suore straniere che assistono gli anziani disabili al Piccolo Cottolengo Don Orione di Milano.

Ora torna sulla scena pubblica, mostrando l’arroganza di sempre. Intervistato, ripete di aver subìto “una condanna ingiusta”. Di essere stato vittima di “una sentenza politica senza colpa e senza prova”. Banalizza il suo caso giudiziario, riducendolo a qualche vacanza pagata da un amico ricco, Pierangelo Daccò, a cui poi lui, più povero, non ha potuto ricambiare la gentilezza, come si usa tra amici. Le sentenze raccontano tutta un’altra storia: Formigoni, da presidente della Regione Lombardia, ha sottratto alle casse pubbliche circa 200 milioni di euro, fondi regionali per la sanità concessi alla Fondazione Maugeri con delibere scritte su misura. In cambio, Daccò, l’amico faccendiere che mediava con la Maugeri, gli ha restituito 6 milioni: in viaggi, vacanze, yacht, cene, regali, uno sconto sull’acquisto di una villa in Sardegna…

“Sentenza politica”? Per togliersi del tutto il dubbio, è sufficiente leggere – se proprio non si vogliono considerare le deliberazioni dei giudici penali che lo hanno condannato per corruzione – almeno quelle della Corte dei conti. Formigoni – scrivono i giudici contabili – ha organizzato con Daccò e l’amico ciellino Antonio Simone un “sistema corrotto e corruttivo” in cui le cosiddette funzioni sanitarie non tariffabili, sommamente discrezionali, venivano superpagate dalla Regione. Così il denaro pubblico veniva “distratto in maniera illecita”, “sottratto alla sua destinazione per l’espletamento di funzioni sanitarie d’interesse pubblico” e dirottato per “formare oggetto di illecite dazioni a favore del presidente Formigoni e degli intermediari, nonché suoi amici personali, Daccò e Simone”. Il “contenuto delle delibere regionali è stato, con l’intermediazione del faccendiere Daccò, per così dire tagliato su misura delle esigenze economiche della Fondazione Maugeri”. “L’obiettivo perseguito e raggiunto era quello di ottenere, a parità di prestazioni, una maggiore remunerazione, accettando ovviamente di pagare un (sovra)prezzo: quello della corruzione”.

I pagamenti alla Maugeri erano decisi personalmente da Formigoni: il suo è un “ruolo assolutamente centrale, vero e proprio deus ex machina, svolto in virtù del ruolo istituzionale e dell’indubbio carisma personale del presidente”, con un “sostanziale svuotamento del ruolo della dirigenza e dello stesso assessore alla sanità, estraneo al cerchio magico di Formigoni”. “Oggetto del patto corruttivo è stato il mercimonio della funzione del presidente, non la delibera finale adottata dall’organo collegiale”. Così, tra il 1999 e il 2011, un fiume di soldi della Regione è entrato nelle casse della Maugeri, da cui sono poi usciti 71 milioni, “di cui 61.485.583 euro destinati a finanziare la corruzione degli amministratori regionali e degli intermediari”: Formigoni, Daccò e Simone. Nel periodo 2006-2011 “il prezzo della corruzione del presidente è stato conseguentemente quantificato” in 37,3 milioni di euro.

Ma ora il Celeste vuole tornare in pista. Ha ancora molto da dare. Di certo, i 47 milioni di euro che la Corte dei conti lo ha condannato a pagare per i danni arrecati alla Regione Lombardia, per essere stato al centro di un “gravissimo sistema illecito di storno di denari pubblici a fini privati”. Ma niente paura, se li pagherà, lo farà ancora con i nostri soldi: nella primavera 2021, infatti, il Senato, con il voto di Lega e Forza Italia, ha accettato il suo ricorso contro “l’ingiustizia” di averlo privato dell’assegno mensile di 7 mila euro maturato “dopo aver dedicato l’intera propria esistenza alle Istituzioni”. E ha deciso di restituire a lui e ad altri condannati il vitalizio, e anche gli arretrati. Ora il Celeste è pronto per il grande ritorno.