Sara al Saqqa, trent’anni, è la prima e unica donna chirurgo nella Striscia di Gaza. Per ottenere questo risultato ha dovuto studiare e lavorare molto duramente, in un contesto decisamente ostile all’emancipazione femminile. Il suo posto di lavoro è l’ospedale di Al Shifa, il più grande della Striscia, che in questi ultimi giorni è stato sottoposto a pesanti attacchi israeliani, che hanno reso proibitive delle condizioni di lavoro già al limite, per sovraffollamento di feriti, carenza di medicinali e attrezzature, mancanza di acqua e di elettricità. Gli israeliani indicano al Shifa, nel nord della Striscia, come un rifugio di Hamas.
FQ MillenniuM, il mensile diretto da Peter Gomez, nel numero in edicola offre un ampio ritratto di Sara al Saqqa, a firma di Ilaria Potenza, chirurga a sua volta e narratrice. La sua storia e le sfide che ha dovuto affrontare per diventare la prima donna chirurgo della Striscia sono alternate al racconto in presa diretta dell’attualità, dei terribili turni di lavoro ad Al Shifa, che possono durare anche 48 ore, con feriti, in particolare donne e bambini, “trattati sul pavimento”.
“Io voglio lavorare e dimostrare ogni giorno di essere una brava chirurga, alla diffidenza e alla discriminazione rispondo facendo del mio meglio”, afferma Al Saqqa. “Non conosco strategia migliore e il tempo mi ha dato ragione”, rivendica. Una determinazione messa a dura prova dalla guerra di queste settimane, con i bombardamenti israeliani seguiti agli attacchi di Hamas del 7 ottobre: “Nessuno può fare nulla in questo momento”, si sfoga con FQ MillenniuM. “Li considero i giorni e le notti più lunghi della mia vita: è come se stessimo andando verso una fine buia dove non troveremo nessuno ad aspettarci, dove nessuno è lì per aiutarci”.
I contatti con Sara al Saqqa, nei giorni della guerra, sono stati molto difficili. I suoi ultimi messaggi, sempre più laconici, si limitavano a rassicurare: “Still alive“, ancora viva. Oggi, lunedì 13 novembre, ci ha informato che lei e la maggior parte dei colleghi hanno lasciato l’ospedale di Al Shifa, dove sono rimasti pochissimi camici bianchi, per dare una mano in un’altra struttura sanitaria più a sud. Ecco il motivo, spiegato via Whatsapp: “Per quello che è successo negli ultimi 4 giorni. I bombardamenti sono diretti contro l’ospedale di Al Shifa in sé. Colpiscono l’edificio. Non c’è elettricità, né cibo, né acqua. E colpiscono le tubature dell’ossigeno. distruggendole”.