“Quando anche non fossimo d’accordo questo non diventi uno scontro tra poteri perché non è così, non vuol dire che non lavoriamo per lo stesso risultato se anche abbiamo punti di vista diversi”. Sono le parole della premier Giorgia Meloni durante la visita istituzionale alla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo alla presenza inconsueta anche dei 26 procuratori distrettuali come anticipato dal FattoQuotidiano.it. “Non siamo utili se non ci diciamo quello che pensiamo lavoriamo per lo stesso datore di lavoro e contro lo stesso avversario”. La visita arriva in un periodo in cui i rapporti tra la maggioranza e il mondo delle toghe sono ai minimi storici, dopo il caso della giudice Iolanda Apostolico e la protesta dell’Associazione nazionale magistrati e dopo diversi richiami delle toghe in commissione, compreso lo stesso procuratore antimafia Giovanni Melillo che aveva duramente criticato il Dl Nordio.
“Oggi l’Italia è una realtà presa a punto di riferimento internazionale, tanti anni fa eravamo conosciuti perché esportavamo la mafia oggi perché esportiamo l’antimafia. Abbiamo un nemico estremamente mutevole questo richiede una continua messa in discussione e continuare a parlarci. La lotta alla mafia è al terrorismo sono capisaldi di questo governo. Quello dei beni confiscati è un segnale potentissimo dello Stato che riesce a vincere. Tutto quello che ritenete si possa fare, sono e siamo disponibili a farlo“, ha aggiunto la presidente del Consiglio rivolgendosi ai procuratori.
“Con grande orgoglio ricordo che il primo provvedimento in assoluto approvato in Consiglio dei ministri è stato quello finalizzato a scongiurare la demolizione della normativa sul regime detentivo speciale per i mafiosi – ha detto la premier – Non potevamo consentire che quell’istituto, che negli anni ha impedito ai mafiosi di continuare a dare ordini dal carcere, potesse essere messo in discussione – ha aggiunto -. Abbiamo modificato la riforma penale Cartabia per ripristinare la procedibilità d’ufficio dei reati con l’aggravante del metodo mafioso o della finalità di terrorismo o eversione, siamo intervenuti per tutelare e salvaguardare le intercettazioni. Abbiamo potenziato il comparto sicurezza con l’assunzione di circa 12.000 uomini e donne delle forze dell’ordine, abbiamo esteso la competenza della Procura nazionale antimafia al cybercrime“.
Ma è proprio dalla Dna che sono arrivate le critiche più dure al governo Meloni. Poco più di un mese fa, audito dalla commissione Giustizia del Senato, Melillo aveva appunto stroncato la riforma Nordio che ha abolito l’abuso d’ufficio. “Dal punto di vista delle mie funzioni vi è davvero una specifica preoccupazione per la tenuta delle indagini relative al condizionamento mafioso della pubblica amministrazione, che è materia delicatissima e di grande rilevanza pratica”, aveva detto l’ex procuratore di Napoli, che in precedenza aveva pure criticato le dichiarazioni del guardasigilli sulle intercettazioni. A proposito di ascolti telefonici, nei mesi scorsi il capo della Dna aveva lanciato un appello al governo per “rimediare” a una sentenza della Cassazione che rischiava di mandare in fumo centinaia di processi per mafia.
Una richiesta che era arrivata in via riservata al sottosegretario Mantovano, magistrato, anche dai suoi colleghi delle Direzioni distrettuali antimafia. E alla quale il governo ha risposto con un decreto varato prima della pausa estiva, che era suonato come una sorta di “commissariamento” dello stesso Nordio. Dopo quella norma lo stesso Melillo si era detto “grato” all’esecutivo. potenziato il comparto sicurezza con l’assunzione di circa 12.000 uomini e donne delle forze dell’ordine, abbiamo esteso la competenza della Procura nazionale antimafia al cybercrime”.