Si scrive Volodymyr Ariev ma si legge Petro Poroshenko: il deputato del partito dell’ex presidente di centro destra, ora all’opposizione, ha annunciato pochi giorni fa sulla sua pagina Facebook che il ministro della Difesa ucraino Rustem Umerov intendeva “dimissionare” il comandante delle forze armate di Kiev, Valery Zaluzhny, ma poco dopo si è corretto: “Rimuoverò il post precedente riguardante la richiesta allo Stato maggiore di licenziamento di Zaluzhny. Ora da molte altre fonti dicono che non è così“, ha scritto il parlamentare, che è giornalista e uomo politico di lunga esperienza e non un novellino. Ha anche aggiunto di aspettarsi una risposta chiara dal governo che nessuno licenzierà Zaluzhnyi e che “tutti questi giochi (politici) finiranno”. Il ministro – in carica da settembre dopo la sostituzione e l’autoesilio del suo predecessore, pesantemente sospettato di vicinanza a episodi di corruzione – ha colto la palla al balzo e ha ufficialmente smentito tutti i rumour sul generalissimo.

Il siluramento del braccio destro di Zaluzhny – È un fatto che nei giorni scorsi il presidente Zelensky ha licenziato uno dei principali collaboratori di Zaluzhny, il comandante delle forze per le operazioni speciali, il generale Viktor Khorenko, senza inizialmente fornire una spiegazione. Pressato dalle opposizioni e dai giornalisti, Umerov ha affermato di aver raccomandato il licenziamento ma di non poterne rendere pubbliche la motivazione per timore che “darebbe al nemico ragioni per indebolire l’Ucraina”. La decisione ha avuto una vasta eco perché il generale Khorenko aveva ottenuto una serie di successi colpendo dietro le linee nemiche, con grandi risultati sul Mar Nero, in Crimea e persino in territorio russo, con clamorosi sabotaggi e operazioni a lungo raggio divenute virali sui media. Qualcuno ha ipotizzato che Khorenko fosse stato licenziato perché non è possibile rimuovere Zaluzhny; qualcun altro -ben informato- ritiene che il presidente voglia così togliere ai militari l’ultima parola sulle operazioni in Crimea, in vista della “sua” controffensiva, quella lanciata da alcune settimane sulla riva orientale del Dnipro, nella parte dell’oblast di Kherson ancora occupata dai russi.

La controffensiva del presidente – Non mancano le lamentele tra i comandanti sul campo per quelle che sono percepite come decisioni strategiche guidate politicamente, a partire appunto dal lancio di un assalto anfibio attraverso il grande fiume dell’Ucraina meridionale per la riconquista di un territorio in gran parte occupato da deserti e paludi, ma soprattutto estremamente vasto (ha una superficie grande quasi quanto il Veneto o la Puglia) e con una popolazione oggi stimata al massimo in due centinaia di migliaia di abitanti, soprattutto residenti in zone rurali. Il punto è che -nonostante quest’area sia quasi priva di fortificazioni russe significative- è ben collegata alla Crimea occupata dai russi e al vicino oblast di Zaporizia dove è ancora in corso “l’altra controffensiva”, quella condotta dai militari in direzione di Tokmak.

Insomma, finché non sarà tagliata l’arteria ferroviaria che passa dalla stessa Tokmak e soprattutto finché i treni con i rifornimenti potranno passare dal ponte di Kerch, tra la Russia e la Crimea, la liberazione della parte orientale dell’oblast di Kherson rappresenterà un enorme stress per la logistica ucraina, una volta che le truppe non si limiteranno a agire sul lato sinistro del Dnipro ma andranno in profondità, anche nell’ipotesi che i russi decidano di spostare le loro difese più a Est. Certo, l’opportunità di riprendere il controllo della regione costiera e dell’intero corso del Dnipro rende il rischio più sostenibile. In questo momento, le operazioni speciali condotte dal nuovo comandante voluto da Zelensky sembrano, tuttavia, prefigurare un ulteriore impegno a est del Dnipro: in questo senso si spiega l’affondamento di due navi da sbarco russe in Crimea, utili per muoversi nell’area meridionale dell’oblast di Kherson e nella foce del grande fiume.

La strategia del generale – Il punto è che Zaluzhny, pur essendo un militare di formazione “occidentale” e non sovietica, ha da sempre imposto alla guerra una linea, per così dire, più russa dei russi stessi: un po’ come Mikhail Kutuzov, l’ufficiale che impose allo zar di abbandonare Mosca e che poi sconfisse Napoleone, ha sempre preferito cercare le posizioni tatticamente più sicure, a costo di lasciare alle truppe di Mosca dei territori ma soprattutto al prezzo – per gli uomini del Cremlino – di un disastro logistico. Così ha fatto a Kiev, dove ha difeso la capitale dalla gola tra Irpin e Bucha invece che al confine bielorusso, ma soprattutto a Mykolaiv, scelta come baluardo antirusso più sostenibile di Kherson. Lo stesso ha fatto fortificando una serie di cittadine attorno al Donbass attorno a cui le forze di Vladimir Putin si dissanguano ancora oggi: Bakhmut, Kupiansk, Avdiivka ecc.

La posizione del presidente Zelensky – La strategia di Zaluzhny si “vende” molto male a alleati e elettori. Per questo, il governo di Zelensky, sempre più in difficoltà nel convincere anche gli alleati più stretti a farsi consegnare più armi, denaro e altre risorse per respingere le forze russe, ha dovuto cercare i “suoi” successi. In questo senso si spiegano le dichiarazioni concilianti del leader ucraino: “Tutti dovrebbero concentrare i propri sforzi in questo momento sulla difesa del Paese”, soprattutto occorre “rimettersi insieme e non riposarsi; non affogare nelle lotte intestine o in altri problemi… La situazione ora è la stessa di prima: se non ci sarà la vittoria, non ci sarà nessun Paese”. In una conferenza stampa con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha spiegato che, come succede nei paesi democratici, in questa lunga guerra “tutti sono stanchi e ci sono opinioni diverse”.

Il presidente si prende il rischio – Anche se secondo la Costituzione ucraina, il presidente ha il potere di nominare e revocare il capo delle forze speciali, la rimozione di uno stretto collaboratore del generale Zaluzhny e l’organizzazione di una “controffensiva del presidente” sembrano comunque minare l’autorità del capo delle forze armate. O forse ha ragione chi sostiene che Zaluzhny stesso intenda far “sfogare” il suo superiore politico: se avrà ragione a Kherson bene per l’Ucraina e nessun problema per lui, se avrà torto -impiegando comunque numeri limitati di truppe- allora il compito di rimettere le cose a posto tornerà ai militari.

Un generale “repubblicano” a Kiev? – Con l’attenzione dei media internazionali in gran parte spostata sulla guerra in Israele e Gaza e a Washington evidenti disaccordi nel Congresso sugli aiuti aggiuntivi per l’Ucraina, il fatto che un militare -con un curriculum di successi, tra l’altro- parli in modo diretto e soprattutto chiaro sembra preludere a un dialogo con la componente più “machista” della politica americana: il militare ucraino ricorderà ai repubblicani Ulisse Grant più di quanto Zelensky possa far loro venire in mente Abramo Lincoln? A nessuno è ancora venuto in mente che il distintivo del Baby Yoda con cui Zaluzhny si è fatto vedere in alcune immagini è stato spesso preso come simbolo anche dai partigiani di Trump. Sarà un caso che proprio nelle stesse ore Zelensky abbia invitato The Donald a visitare l’Ucraina?

La guerra di trincea logora – Intanto, la “controffensiva dello stato maggiore” si prepara a entrare nella stagione invernale avendo liberato circa 600 chilometri di territorio in cinque mesi, in gran parte nell’oblast di Zaporizia. A Kherson, per fare un paragone, il presidente ha recuperato quasi 200 chilometri in poche settimane, tra ottobre e novembre. Entrambi sono risultati miseri se paragonati ai quasi 17mila chilometri ripresi ai russi nell’autunno del 2022: tuttavia, quella di un anno fa fu una guerra di movimento contro truppe non trincerate e in assenza di linee di difesa multiple da sfondare a ogni passaggio. Per dirla con un esempio dal mondo del calcio, allora la Russia giocava con la difesa alta e ogni palla lunga diventava un gol; adesso, Mosca fa il catenaccio più duro e raddoppia ogni marcatura sugli attaccanti. Inoltre, può permettersi offensive molto localizzate con assalti di massa e perdite colossali, come nell’ultimo mese a Bakhmut, dove tra morti, dispersi e prigionieri ha “speso” diecimila uomini. Kiev, per ragioni demografiche e politiche, non può permettersi di scialare così. Sia il presidente sia il capo di stato maggiore lo sanno bene.

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