Potrebbe essere la Consulta a intervenire nuovamente sui diritti dei bambini nati da coppie omogenitoriali. La prima udienza a Padova per le impugnazioni da parte della procura dei certificati di nascita dei figli di due donne, ha visto la richiesta da parte dei legali delle famiglie di sollevare conflitto davanti alla Corte costituzionale. “È andata molto bene. Ci ha colpito che i giudici ci hanno ascoltato con molto interesse, al di là della posizione della Procura. La questione dell’inammissibilità di queste procedure è sembrata convincente – spiega l’avvocata Susanna Lollini, che difende due delle mamme di Padova – . La Procura ha cambiato posizione e ha aderito alla questione di incostituzionalità, sollevata da noi avvocati di tutte le coppie di madri, ritenendo opportuno che la Consulta torni ad esaminarsi la questione”.

I pm, lo scorso giugno, avevano impugnato tutte i certificati registrati dal 2017 a oggi dopo una circolare del ministero dell’Interno che recepiva una sentenza a sezioni Unite della Cassazione che in realtà aveva giudicato il caso di due papà che avevano fatto ricorso alla gestazione per altri, che è attualmente vietata in Italia. La Corte Costituzionale, ha spiegato Lollini, potrebbe decidere questa volta di intervenire, visto il monito della sentenza 32 del 2021, rimasto inascoltato”. La decisione spetterà poi al Tribunale civile, “ma – ha aggiunto la legale – il fatto che la Procura abbia aderito a sollevare la questione di costituzionalità è rilevante, anche per il Tribunale”. “Io ho anche insistito molto sulla inammissibilità di questi procedimenti – ha detto Lollini – perché se il Tribunale dovesse ritenere che queste procedure sono tutte inammissibili, Consulta o non Consulta, potrebbe decidere che la questione si chiude qui“. Davanti al Tribunale c’è stato un presidio delle famiglie per sostenere il diritto di questi piccoli di non perdere un genitore che chiamano mamma anche da 6 anni.

Le sentenze della Consulta e quella della Cassazione – La Consulta nel 2021, in realtà, si è espressa due volte. Con la sentenze 32 e 33. I giudici costituzionali avevano fatto appello al Parlamento perché riconoscessero quanto prima i diritti dei figli delle coppie dello stesso sesso, anche introducendo nuove forme di adozione che garantiscano “tempestivamente la pienezza dei diritti dei nati”. “Questa Corte non può’ esimersi dall’affermare che non sarebbe più tollerabile il protrarsi dell’inerzia legislativa, tanto è grave il vuoto di tutela del preminente interesse del minore”, scriveva la giudice Silvana Sciarra, all’epoca non ancora presidente.

È “indifferibile” da parte del legislatore individuare delle “soluzioni in grado di porre rimedio all’attuale situazione di insufficiente tutela degli interessi del minore“, la riflessione presente nell’altra sentenza (la numero 33) redatta dal giudice Francesco Viganò . Con queste due pronunce la Consulta dichiarò inammissibili le questioni sollevate in relazione alla legge 40 sulla fecondazione assistita dal tribunale di Padova e dalla Corte di Cassazione, per “cedere doverosamente il passo alla discrezionalità del legislatore”, di “fronte al ventaglio delle opzioni possibili, tutte compatibili con la Costituzione e tutte implicanti interventi su materie di grande complessità sistematica”. Ma quel monito a distanza di due anni e mezzo è rimasto totalmente inascoltato. Al centro di una delle due pronunce c’era il caso del figlio di due papà nato all’estero da maternità surrogata che poi aveva portato a esprimersi la Cassazione a sezioni unite, si stabiliva che soltanto il padre biologico, quello che ha donato il seme in una maternità surrogata, può essere registrato all’anagrafe come genitore perché la maternità surrogata in Italia è vietata. Toccherà ora al Tribunale di Padova decidere se rivolgersi alla Consulta oppure procedere come nelle proprie prerogative.

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