Il 4 giugno 2023, dopo la gara con la Samp che decretava la fine del campionato stravinto dal Napoli, De Laurentiis rispondeva a un giornalista che chiedeva lumi sul prossimo allenatore, visto l’addio certo di Spalletti: “Questa squadra è talmente forte che la può allenare chiunque, persino lei”. Qualche settimana dopo, alla fine di quello che il patron ha definito un casting da 40 allenatori, viene annunciato Garcia, con un De Laurentiis già in versione commissariale in sella. Sì, perché di fatto mentre l’era Spalletti partiva con lo slogan “Uomini forti, destini forti” (probabilmente lo stesso motivo per cui finiva), quella di Garcia veniva contraddistinta dagli appunti sul frigorifero: “Mantenere il nostro 4-3-3 spettacolare” ad esempio, tra i desiderata dichiarati apertamente dal patron. E alle perplessità di fronte al curriculum di Garcia, fatto dopo Roma di campionati mai oltre il quarto posto in Ligue 1 e reduce da un esonero all’Al-Nassr per essere riuscito a non vincere il campionato nonostante Ronaldo, Talisca, Aboubakar, Gonzalo Martinez e Luiz Gustavo e lasciando la vittoria al ben più modesto Al Ittihad. De Laurentiis si era posto anche come garante: “Ho sbagliato solo due allenatori in vent’anni”.
Può segnare la terza tacca: Garcia, nei suoi cinque mesi napoletani, ha semplicemente sbagliato tutto ciò che c’era da sbagliare, forse anche qualcosa in più. Innanzitutto l’approccio con piazza e squadra: a livello comunicativo Rudy ha offerto uno spettacolo addirittura peggiore rispetto a quello che con la squadra ha fatto vedere in campo. “Io non conosco il passato” è stata la frase che immediatamente ha fatto spostare l’asticella della piazza dalla curiosità, magari scettica, agli sguardi torvi: si può dire alla Juventus che il passato è terra straniera e tocca vincere sempre, non certo a Napoli dopo la miglior stagione della storia. Non dopo qualche settimana che ci si è seduti in panchina e non dopo che le prestazioni offerte: l’iconoclastia, nella piazza più vocata all’idolatria in Italia, non è certo un gran modo per farsi voler bene.
Né certo è saggio dire agli artefici di quel capolavoro, i calciatori: non ho idea di quel che abbiate fatto lo scorso anno, né mi importa granché. Non lo è, sempre in una incomprensibile furia iconoclasta, avere la fregola irrefrenabile di smontare quel giocattolo: le prime gare, con Anguissa in regia e Lobotka in uno strano ruolo di interditore, hanno solo fatto capire che la priorità era disfarsi del passato. Poi è arrivato il commissariamento di De Laurentiis e si è ritornati al passato, quantomeno nei ruoli, ma ormai quello andato in scena per mesi era un pastrocchio inguardabile con una squadra lunghissima, sfilacciata, prevedibile e impaurita. Insomma se l’obiettivo era distruggere il Napoli cortissimo, veloce e feroce di Spalletti è perfettamente riuscito, se dietro ci fosse un’altra idea di calcio no, del Napoli di Garcia è emerso esattamente niente e men che meno le idee.
E una rosa che era arrivata a valori di mercato altissimi dopo il capolavoro dello scorso anno ne esce fortemente ridimensionata dopo la gestione Garcia: Kvaratskhelia, a parte qualche sprazzo, è l’ombra del calciatore fenomenale che ha fatto stropicciare gli occhi al mondo; Rrahmani – che da Kumbulla a Koulibaly a Kim ha fatto giocare bene ogni compagno di reparto – è stato disastroso; persino Anguissa e Di Lorenzo, insostituibili con Spalletti, sono parsi l’ombra di loro stessi. Si è salvato dal naufragio generale soltanto Politano, praticamente. E il contorno sono stati i “vaffa”, beccati dopo i cambi dallo stesso Politano, da Osimhen, e addirittura da Kvaratskhelia, solitamente mai sopra le righe, a dimostrare un rigetto evidente anche da parte del gruppo. Talmente evidente dal dimenticarsi una “preventiva”, la copertura che pure in Terza Categoria si prevede per evitare di farsi trovare scoperti su calcio d’angolo a favore o situazioni simili: non è possibile né pensabile che Garcia non abbia previsto una preventiva in Champions, se l’è dimenticata il gruppo, simbolo della confusione che regna. Confusione generata probabilmente da una filosofia che predilige altro rispetto a una cura maniacale del dettaglio: per una squadra che veniva da successi raccolti curando maniacalmente ogni dettaglio.
Per giunta far attecchire il Garcia pensiero sostituendo Osimhen mentre si sta perdendo, Kvara mentre si tenta di vincere una partita e Politano quando spacca la partita contro il Milan non sembra granché come metodo. Certo, dare al francese ogni colpa sarebbe deresponsabilizzare totalmente la squadra, che a prescindere da moduli, dichiarazioni e dettami tecnici è la stessa che ha stracciato un campionato (sì, fatta eccezione per Kim, ma di certo non è cambiando una sola pedina che si passa dall’annichilire il Liverpool a farsi dominare dall’Union Berlino). Ed era arcinoto che a Garcia, come a chiunque, sarebbe toccato un compito infame: è toccato addirittura ad Ancelotti fare i conti coi fantasmi di Sarri e del sarrismo, pur non alzando neanche una Coppa Italia, figuriamoci a chi era arrivato dopo Spalletti, lo Scudetto, i quarti di Champions, i cinque gol alla Juve, i quattro al Liverpool e così via.
Né convivere con un Adl che, come detto sopra, sente lo scudetto e la super stagione come il sigillo al “tocco magico” nel frattempo acquisito e così magico da poter riempire la vacatio di un centrale come Kim con Natan, dato a Garcia solo intorno alla metà di agosto, di ripetere l’intuizione Giuntoli con Meluso, di risolvere una crisi solo con la propria presenza a Castelvolturno. Ma al netto delle attenuanti è evidente che Garcia ci ha messo tanto del suo, soprattutto andando a prendersi una missione troppo superiore alle proprie possibilità: Napoli, pure dal punto di vista urbanistico è città assai complessa e di chiese al centro del villaggio, vere o pagane, dal Gesù Nuovo al murales di Maradona, ce ne sono già abbastanza, forse troppe e troppo resistenti per pretendere di spostarle o di tirarle giù.