Frenata dell’inflazione statunitense in ottobre. L’aumento dei prezzi rispetto all’anno prima è stato del 3,2%, leggermente al di sotto delle attese. Rispetto a settembre i prezzi sono rimasti invariati. A determinare il dato complessivo è soprattutto la discesa del costo dei carburanti in scia al raffreddamento delle quotazioni petrolifere. In ottobre il prezzo della benzina è diminuito da 3,81 dollari al gallone (circa un euro al litro) a 3,4 dollari, una flessione proseguita nella prima parte di novembre. L’indice core, ossia tolti energia ed alimentari, più attentamente monitorato dalla Federal Reserve, si è attestato al 4%, meno del 4,1%previsto, con un progresso dello 0,2% su settembre. Sono dati che permettono alla banca centrale qualche spazio in più per allentare la stretta monetaria (quindi non alzare più i tassi o addirittura ridurla) a beneficio della crescita economica.

Per questa ragione il dato è stato accolto positivamente dai mercati che dopo la diffusione della cifra hanno quasi recuperato interamente le perdite di giornata. Il dato ha avuto naturalmente riflessi anche sul mercato obbligazionario. Il rendimento dei titoli di stato decennali statunitensi scendono di 18 punti basi al 4,61%. Significa che il loro valore sta salendo riflettendo le previsioni di una Fed meno aggressiva. La prossima decisione di politica monetaria è in agenda per il prossimo 13 dicembre. Una Fed meno accanita nella lotta all’inflazione alleggerisce la pressione anche sulla Banca centrale europea che, oltre a contrastare l’inflazione domestica, non può lasciare che il differenziale di tassi tra Usa ed area euro si ampli eccessivamente.

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