Una manovra miope, “improntata a un’ottica di breve periodo, con interventi temporanei e frammentati”. Previsioni di crescita raggiungibili “solo sotto l’ipotesi che si rafforzi consistentemente la domanda estera e che avanzino speditamente i progetti del Pnrr“, cosa che stando all’ultima ricognizione della Corte dei Conti non sta avvenendo. Nessun “potenziamento strutturale” del servizio sanitario nazionale: anzi, il finanziamento per il 2024 “potrebbe non coprire integralmente le spese“. Sono alcune delle principali critiche contenute nell’audizione dell’Ufficio parlamentare di bilancio sulla manovra. Quanto alla conferma della decontribuzione già in vigore per i redditi bassi, la presidente Lilia Cavallari ha ricordato che anche nel 2024 “la modalità di calcolo per fasce fa cessare ogni beneficio oltre la soglia di retribuzione lorda di 35.000 euro, con una perdita di circa 1.100 euro con il superamento di tale soglia per un solo euro“. Con relativo “forte disincentivo al lavoro” – in evidente contrasto con gli intenti dichiarati dal governo – e ostacolo al raggiungimento degli accordi di rinnovo contrattuale.
Il contesto in cui si inserisce la legge di Bilancio è quello di forte “incertezza e instabilità dello scenario interno e internazionale”, con un prodotto interno lordo che in Italia “non si espande, in media, da circa un anno, con un’attività produttiva stagnante frenata, oltre che dalla domanda estera, prevalentemente dal deterioramento della domanda interna“. Di conseguenza i vincoli di bilancio sono “stringenti” e i margini sono ulteriormente compressi dal costo per il servizio del debito, “aggravato dal rialzo dei tassi di interesse e dal maggior ricorso all’indebitamento“.
La misura più rilevante, la prosecuzione nel 2024 del taglio del cuneo fiscale, che vale 10,7 miliardi, “è finanziata temporaneamente in deficit: una eventuale ulteriore estensione richiederà l’individuazione di misure di copertura strutturali“. Ma per la Corte, pur garantendo “un importante supporto ai redditi da lavoro bassi e medi”, ha molti difetti strutturali che impongono di “riflettere sulla necessità della sua riproposizione, anche alla luce della dinamica dei rinnovi contrattuali e, più in generale, del problema del sostegno dei lavoratori a rischio di povertà“.
La revisione dell’Irpef, prevista per il solo 2024, assorbe risorse per 4,3 miliardi per dare un beneficio di “75 euro annui per i redditi da lavoro dipendente tra 8.000 e 15.000“, mentre “superato tale importo e fino a 28.000 il vantaggio aumenta progressivamente con il reddito fino a un massimo di 260 euro; oltre i 50.000 euro il beneficio può azzerarsi per effetto del taglio delle detrazioni per oneri e spese non sanitarie”.
Gli interventi di revisione dell’Irpef e la maggiorazione della deduzione per gli incrementi occupazionali, nota l’Upb, “seppur formalmente temporanei sono inseriti negli schemi di decreto legislativo per l’attuazione della delega fiscale, che per loro natura dovrebbero prevedere misure di carattere strutturale. Di conseguenza
sembra implicita l’intenzione di confermarli negli anni successivi. Ciò richiederà una copertura strutturale. I decreti attuativi individuano all’interno del sistema fiscale risorse strutturali che potrebbero essere utilizzate a tal fine, tuttavia tali risorse, derivanti in larga misura dall’abrogazione dell’ACE e dall’Imposta minima nazionale, non appaiono sufficienti per finanziare entrambe le misure negli anni successivi”.
Per quanto riguarda le pensioni, le misure “vanno nella direzione di un cambiamento di visione rispetto agli ultimi anni”. La visione del centrodestra non è mai ufficialmente cambiata, ma nei fatti le promesse della Lega riguardo all’abolizione della Fornero sono state totalmente disattese in favore di interventi che preservino i conti: “Sono riproposti i canali temporanei di pensionamento con requisiti ridotti rispetto agli ordinari, ma a condizioni più stringenti. Contemporaneamente, si introducono norme che incideranno strutturalmente sull’evoluzione della spesa pensionistica con effetti di consolidamento a medio-lungo termine come ad esempio il ricalcolo della quota retributiva delle pensioni degli iscritti ad alcune Casse di lavoratori pubblici” – con “risparmi cumulati che ammonterebbero a 32,9 miliardi al 2043” – e “l’anticipo dello sblocco dell’adeguamento alla speranza di vita dei requisiti di pensionamento anticipato”. Nei prossimi anni (fino al 2028-2030) il ricalcolo “richiede un sacrificio a livello individuale, parzialmente compensabile negli effetti con un posticipo del pensionamento di uno o due anni”.
Per i lavoratori “contributivi”, poi, “sono stabiliti la riduzione dell’importo minimo per l’accesso alla pensione di vecchiaia ordinaria e l’aumento di quello per l’accesso alla pensione anticipata con requisiti di età. Si permette a chi arriva a 67 anni con una posizione pensionistica molto debole, difficilmente migliorabile
tramite ulteriori sforzi lavorativi, di accedere a dei redditi che seppure bassi possono alleviare i bisogni, mentre si richiede che i soggetti relativamente più giovani si sforzino di rafforzare autonomamente l’adeguatezza delle proprie pensioni“. Ma “sullo sfondo, restano i problemi della bassa e discontinua contribuzione pensionistica delle generazioni giovani che, se nulla cambia, prelude alla maturazione di pensioni anch’esse basse. Sarebbe opportuno non limitare il dibattito ai soli cambiamenti delle regole e dei parametri del sistema pensionistico, ma abbracciare tematiche più ampie del mercato del lavoro, del rafforzamento degli altri istituti di welfare rivolti alle età più giovani, della fiscalità e della crescita, con specifica apertura inclusiva per i giovani”.