Mancano sempre meno giorni al 19 novembre e al ballottaggio presidenziale argentino tra Javier Milei e Sergio Massa. Il turbo-liberista e “anti-politico”, dopo la netta sconfitta nell’ultimo confronto elettorale, fa esplodere una nuova polemica, in linea con quella agitata, festeggiando il secondo posto, nei primi commenti al primo turno quando disse “siamo stati derubati delle schede elettorali in 5mila seggi elettorali, quindi questa battaglia epica continua perché anche così non sono riusciti a sconfiggerci”. La Giustizia Elettorale della provincia di Buenos Aires ha infatti avvertito i rappresentanti di La Libertad Avanza, il partito che sostiene e candida Milei, che non è stato consegnato un numero sufficiente di schede elettorali per domenica prossima. Il partito ha risposto che non né invierà altre e che saranno direttamente i rappresentanti di lista a portarle al seggio il giorno delle elezioni. E hanno aggiunto: “Vogliamo evitare danneggiamenti o furti di schede come quelli avvenuti in tutto il Paese nelle elezioni precedenti. Ovviamente non ci fidiamo della giustizia elettorale. Massa sta violando tutte le leggi elettorali e non succede nulla”.
Lo stesso Milei, in una recente intervista, ha confermato le parole pronunciate a caldo la notte del 22 ottobre e ha sostenuto che il voto non è stato trasparente. Secondo lui le irregolarità sono state tanto grandi da poter parlare di frode. La Giustizia Elettorale ha ricordato che ogni forza politica deve stampare, per poi essere consegnate, un pacco di 350 schede per ciascuno dei 38.074 seggi elettorali. Ma ad oggi il partito di Milei ne avrebbe consegnate appena un centinaio per seggio.
In Argentina, ogni partito, ha la responsabilità di stampare le proprie schede elettorali ricevendo per questo ingenti fondi dallo Stato. Solo per il ballottaggio le forze a sostegno di Massa e Milei prendono ben 258,3 milioni di pesos (circa 706.000 dollari). Le schede stampate vengono quindi mandate alla Giustizia Elettorale che poi organizza la spedizione per posta ai singoli seggi e chi si presenta a votare sceglie quale prendere e mettere nell’urna. Non c’è quindi una scheda unica con tutti i simboli dove apporre la propria ‘X’, ma ci sono per ogni candidato delle schede con nome e immagini.
E su questo che Milei grida alla frode, sostenendo che al primo turno siano state distrutte molte delle schede del suo partito. La Giustizia Elettorale della provincia di Buenos Aires ha denunciato anche un mancato rispetto delle prescrizioni del “Acto 31” riguardo alle modalità di presentazione dei pacchi di schede, visto che il partito di destra ha spedito il tutto in scatole di cartone chiuse o in sacchetti di plastica nera, rendendo verifica e controllo difficili rischiando di far accumulare ritardi. L’assenza di schede rischia di compromettere le operazioni di voto perché, secondo quanto dichiarato dalle istituzioni argentine, si rischierebbe di avere seggi dove persone non potrebbero votare.
Milei non è il primo rappresentante di una autodefinita destra anti-sistema, che poi ha però rapporti profondi legami con i grandi interessi economici transnazionali, a parlare e agitare preventivamente lo spettro della frode elettorale. A partire dalle elezioni in Bolivia nel 2019 (con il successivo golpe guidato da Jeanine Áñez), poi Trump negli Stati Uniti nel 2020, fino ad arrivare a Bolsonaro in Brasile nel 2021. Milei così prova a rinforzare la sua narrativa di rifiuto del sistema tradizionale e politico argentino, quindi non solo del peronismo e del kirchnerismo. La sensazione strisciante è che proprio dentro questa narrativa e nella polarizzazione che la destra estrema argentina sta creando attorno alla sfiducia in chi ha governato il Paese dal ritorno della democrazia possa maturare la vittoria di Milei. Non quindi per le proposte politiche messe in campo, ma nell’incarnazione del “nuovo” che avanza.