Sono le ore 21:55 del 14 novembre quando dal Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture parte una lettera firmata dal ministro Salvini.
È per Cgil e Uil, che hanno convocato uno sciopero generale per il 17 novembre, e contiene un ordine durissimo: il potere politico, incarnato dal vice-premier Salvini, intima a lavoratori e lavoratrici del settore trasporti di non scioperare per l’intero turno di 8 ore, ma solo per 4 ore.
È la “precettazione”, provvedimento amministrativo straordinario con cui l’autorità impone il termine di uno sciopero, e reso oggi possibile dall’intervento del “Garante sullo sciopero”, autorità “terza” che il 13 novembre si è pronunciato per la rimodulazione della protesta.
Siamo di fronte all’ultimo atto di uno scontro che il potere mediatico ha rappresentato come sfida Salvini vs. Landini. Ma che, in realtà, va descritto come brutale affondo del potere politico ed economico contro il potere dei lavoratori e delle lavoratrici (e non “semplicemente” dei sindacati).
Un affondo preventivo, che non arriva al culmine di una intensa stagione di mobilitazione sindacale – come è avvenuto invece in altri Paesi europei, a partire dalla Francia nei primi mesi dell’anno. Anzi, l’Istat ha calcolato che se nelle grandi imprese private, quelle con più di 500 dipendenti, nel 2005 la percentuale di ore di sciopero ogni mille ore lavorate era l’1,3%, siamo oggi allo 0,3%. Un record negativo storico. Più in generale, al di là di alcuni settori, la conflittualità operaia fa fatica a darsi in termini pubblici e collettivi e assume forme nuove e per certi versi da studiare (a partire dal fenomeno “Grandi Dimissioni”).
Se consideriamo che l’Italia, negli ultimi 30 anni, è stato l’unico Paese Ocse in cui i salari non solo non sono aumentati, ma sono addirittura diminuiti (-2,9%); che un lavoratore su cinque (il 20%) guadagna meno di 20mila euro netti l’anno; che, se donna, se lavoratrice, la percentuale schizza al 53%; che un lavoratore su dieci è sotto i 10mila euro netti; che ben 5 milioni di lavoratori e lavoratrici percepiscono paghe inferiori ai 10€ l’ora; che con l’aumento dell’inflazione i salari reali sono crollati del 7,5% nei primi tre mesi dell’anno (fonte Ocse)…
Se questa è la fotografia del Paese, la priorità di una politica nell’interesse della maggioranza che in quella foto si riconosce è alzare i salari; non certo vietare o limitare il diritto allo sciopero. Marciando nella direzione opposta, invece, Salvini mostra il volto dell’ultradestra di governo: ferocemente anti-operaia e supinamente filopadronale. Nulla di nuovo.
Ma perché questo affondo arriva oggi? E quali sono le condizioni che lo rendono non solo praticabile, ma praticato? Ce ne sono almeno quattro:
– Salvini utilizza la tattica ormai marchio di fabbrica dell’ultradestra di governo: le “aringhe affumicate” (in inglese “red herrings”). Come si usavano aringhe affumicate per distrarre i cani da caccia, così Salvini attacca il diritto allo sciopero per spostare l’attenzione da un tema a un altro e da un soggetto a un altro. Dalla manovra di bilancio in discussione – nervo scoperto per un Governo Meloni che aveva promesso mari e monti alle fasce popolari (quelle “bianche”, of course) e invece si scopre oggi alfiere dell’austerità, come un Draghi qualsiasi – allo sciopero; dal governo Meloni al sindacato egoista e antinazionale.
– Proprio su questa caratterizzazione del sindacato si gioca una partita di carattere più strutturale. Siamo nel campo della battaglia delle idee. Ruolo chiave è giocato dal potere mediatico.
– Quando Salvini afferma che “Landini vuole farsi il weekend lungo”, non fa altro che ripetere ciò che il potere mediatico (delle destre e “progressista”) insinua da anni: che si sciopera di venerdì per poter fare un giorno di vacanza in più (tralasciando che chi sciopera rinuncia alla paga e che sempre più dipendenti, tra cui quelli colpiti dalla precettazione, lavorano anche nei fine settimana). Insomma, chi sciopera è in realtà un fannullone, mica un soggetto che protesta contro le politiche di governo! In questa narrazione il sindacato è un’organizzazione che fa solo il proprio interesse, non quello dei lavoratori. Men che meno del Paese. Basti leggere le prime pagine di due giornali delle destre del 14 novembre per avere un condensato di questo pensiero: “Chi vuole fermare il Paese. Cgil fuorilegge”, Il Giornale; “Sindacati selvaggi. Sciopero illegale. La Cgil blocca l’Italia”, Libero;
– Se Salvini e le destre possono oggi affondare nel burro è però anche perché il sindacato è in parte responsabile degli arretramenti della classe lavoratrice. Dagli anni 90 del XX secolo ha inaugurato la cosiddetta “concertazione”, un metodo che privilegia le mediazioni e i tavoli di confronto al conflitto operaio, con i risultati sotto gli occhi di tutti. Di fronte a governi di centro-sinistra che hanno varato le peggiori politiche contro i lavoratori, Cgil, Cisl e Uil si sono premurati di renderle digeribili per i propri iscritti piuttosto che contrastarle sui posti di lavoro e nelle piazze. Nella crisi di sistema in cui siamo immersi c’è anche una crisi del sindacato che si traduce nel calo degli iscritti (per di più sempre più anziani), e in una minore rappresentatività nei “nuovi” settori, a partire dal terziario arretrato che contraddistingue la nuova struttura industriale italiana (in tali settori stanno nascendo e crescendo sindacati che rimettono il conflitto al centro della pratica sindacale);
– Infine, sempre più nelle nostre società si sono fatti strada gli organismi “indipendenti”, che qualcuno si azzarda a definire “neutrali”. Come il “Garante sullo sciopero”. Quando nel 2019 mi sono ritrovato in un’aula di tribunale per ricorrere contro il licenziamento che mi era stato comminato, il mio avvocato provò a spiegarmi le difficoltà della causa. Al di là di quelle contingenti c’era un altro fattore da tenere in conto: la visione sempre più filo-padronale dei giudici, imbevuti di una cultura che aveva fatto proprie le ragioni delle imprese e marginalizzato quelle dei lavoratori. Il “Garante dello Sciopero” non è al di fuori dello scontro di classe che avviene in seno alla nostra società. Ne è parte in causa e la sua proclamata neutralità è dispositivo ideologico volto a presentare le ragioni di lavoratori e sindacati come di parte, legate a interessi specifici e le proprie, al contrario, come generali e rispondenti solo alle regole (sacre come le tavole di Mosé). La parte contro il tutto, l’egoismo di pochi contro l’interesse collettivo. Le destre comprendono l’importanza di “occupare” questi posti e, infatti, a giugno hanno nominato i cinque esperti che compongono la “Commissione di Garanzia dell’attuazione della legge sullo Sciopero”. Coincidenza vuole che almeno tre su cinque abbiano stretti legami con l’ultradestra di Governo. Se poi deliberano in piena sintonia con Salvini, qualcuno si stupisce?
Al momento Cgil e Uil hanno dichiarato che non cederanno di fronte all’affondo di Salvini e del Garante sullo sciopero. Una condizione necessaria per poter affrontare questo round. Lo scontro, però, non termina il 17 novembre e di fronte alla volontà dell’ultradestra di rendere inoffensive le armi dei lavoratori per timore di una ripresa del conflitto, il movimento operaio sarà all’altezza se farà tornare la parola “conflitto” non solo nel suo vocabolario ma anche nelle sue pratiche e nel suo orizzonte strategico.