Abusi psicologici e stalking, comportamenti e linguaggi inappropriati, palpeggiamenti, molestie e violenze sessuali. Per il secondo anno consecutivo la Conferenza episcopale italiana ha raccolto le segnalazioni di 54 casi di abusi, pedofilia e violenze avvenuti nella Chiesa. Ma, denuncia Rete l’Abuso, senza dare dettagli sui fatti e i luoghi. E soprattutto senza che i vescovi abbiano fatto denuncia alle autorità civili. Un primo passo tanto atteso nella lotta contro omertà e insabbiamenti, ma che per le associazioni che lavorano con i sopravvissuti ancora non basta e, dicono, sottostima i numeri reali.
Secondo il report, diffuso nel corso dell’assemblea Cei ad Assisi, le persone sotto accusa sono 32 e i fatti contestati sono avvenuti di persona (solo 3 gli episodi via web). Nella maggior parte dei casi, gli abusi sono avvenuti in parrocchia (17 casi su 29). Le segnalazioni riguardano vittime molto giovani, in particolare nella fascia 15-18 anni (25 su 54) e due casi riguardano due bambini sotto i 4 anni. In generale sono in prevalenza ragazze (44) rispetto ai ragazzi (10). Il primo report, presentato a novembre 2022, riguardava il biennio 2020-2021 e parlava di 89 casi segnalati. L’iniziativa, fortemente voluta dal cardinale presidente Matteo Zuppi fin dal suo insediamento, presenta però ancora molti limiti. In particolare, per la Rete L’Abuso manca una reale trasparenza sui singoli casi: “Oltre a non denunciare i casi alle autorità civili, la Cei non fornisce alcun dato su fatti luoghi ecc. e di conseguenza è inverificabile“, denunciano. Quanto ai dati, sono “decisamente meno delle segnalazioni pervenute alla Rete L’Abuso durante lo stesso anno. Segnalazioni che la Cei non vuole recepire dal 2021 malgrado l’apparente (almeno mediatica) intenzione ‘garantista’ dello stesso Zuppi, a voler dialogare con i sopravvissuti e le associazioni che le tutelano. Si aggiungono poi le diocesi reticenti alle segnalazioni, tra le ultime quella di San Remo che dietro una segnalazione, neppure si interessa di acquisire i casi, minacciando querela al segnalante”. Per la Rete l’Abuso si tratta solo di “bla, bla, bla”.
Zuppi, nel corso della conferenza stampa di presentazione, ha rivendicato invece la presenza di “tanti meccanismi” per far emergere i casi di abusi. “È difficile che uno insabbi”, ha sostenuto, “ci può essere, ed è quasi un pericolo maggiore, una valutazione non oggettiva”. E ancora: “Se devo parlare della mia categoria il rischio vero è quasi il contrario, che per prudenza possiamo avviare dei procedimenti giuridici anche soltanto per una verifica. La prescrizione, nella Chiesa, non c’è. Chiunque, anche a distanza di anni, viene ascoltato. Anche a distanza di anni facciamo un procedimento interno”. E sulla mancata denuncia alle autorità: “In molti casi non c’è il rimando al penale per la scadenza dei termini. Ma per noi no”, non c’è scadenza, ha concluso.
I presunti abusi sono avvenuti soprattutto in parrocchia, ma non solo. C’è anche un 10% di violenze che si è verificato a scuola da professori di religione, il 6,9% al campeggio parrocchiale; stessa percentuale per i casi avvenuti in istituti religiosi o nei movimenti e associazioni. Nel report si evidenzia poi che sono stati 374 in un anno il numero di persone che hanno contattato il Centro di ascolto di una diocesi: si tratta di contatti per segnalare una presunta violenza, ma anche per chiedere informazioni. Un dato definito “in netta crescita” rispetto al biennio precedente quando c’erano stati rispettivamente 38 e 48 contatti. Interessante anche notare la geografia delle segnalazioni: la maggior parte delle denunce arriva dal Nord Italia (38) e solo tre dal Sud. A fare la segnalazione poi, nel 87,7 per cento dei casi non sono le vittime, ma persone terze che sono venute a conoscenza dei fatti, quasi il 30% in più rispetto alla rilevazione sul 2020\2021. Per quanto riguarda il motivo del contatto, in oltre la metà dei casi, nel 2021 il motivo principale era rappresentato dalla denuncia all’autorità ecclesiastica (53,1%). Nel 2022 la situazione appare molto diversa, con l’81,9% di contatti avvenuti per richiedere informazioni; solo nel 18,1% si è contattato il Centro d’ascolto della diocesi per denunciare l’autorità ecclesiastica (18,1%).
Per quanto riguarda il profilo di chi viene accusato degli abusi, emerge che si tratta di soggetti di età compresa tra i 40 e i 60 anni, in oltre la metà dei casi, con una media di 43 anni. Si tratta per la quasi totalità di maschi (31 su 32), chierici per un terzo, religiosi per un terzo e laici (37%). Con riferimento ai laici, il dettaglio relativo al servizio pastorale svolto indica che i presunti autori di reato, al momento della segnalazione, svolgevano i seguenti ruoli: educatore (5 casi), catechista (1 caso), fondatore di associazione ecclesiale, insegnante di religione, seminarista. Si tratta di persone per lo più celibi ma ci sono anche due persone sposate. Infine, non tutte le diocesi italiane si sono attivate con centri di ascolto per combattere la pedofilia e i casi di abuso da parte di persone della Chiesa. I centri di ascolto realizzati sono 108 per 160 diocesi (in alcuni casi il servizio interessa più territori). In tutto le diocesi sono invece 206, quindi alcune decine di enti neppure è stato istituito il punto di ascolto per la raccolta delle segnalazioni. A dimostrazione che la battaglia contro gli insabbiamenti è ancora molto lunga.