“Per i bambini già nati non ci devono essere discriminazioni”. Marilisa D’Amico, ordinaria di Diritto costituzionale alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Milano e prorettrice con delega alla Legalità, Trasparenza e Parità di Diritti, ha le idee molto chiare su quale debba essere il percorso di rafforzamento dei diritti dei piccoli – figli di coppie dello stesso sesso – che al momento vivono una evidente disparità, ma anche quali siano i diritti delle coppie omosessuali: “Lo stato deve essere laico e non ci deve essere una morale di Stato”.
A Milano, lo scorso giugno, il Tribunale ha confermato gli atti di nascita dei bimbi con due mamme, ma annullato quello del figlio di due uomini. A Padova i legali delle famiglie (tutte al femminile) che avevano ricevuto l’impugnazione dei certificati di nascita e – a sorpresa – la procura hanno chiesto al Tribunale di inviare gli atti alla Corte costituzionale che, a essere precisi, nel 2021 con le sentenze 32 e 33 si era già espressa in tema di legge 140. I giudici costituzionali, in quei verdetti, avevano fatto appello al Parlamento perché riconoscessero quanto prima i diritti dei figli delle coppie dello stesso sesso, anche introducendo nuove forme di adozione che garantissero “tempestivamente la pienezza dei diritti dei nati” definendo non “più tollerabile il protrarsi dell’inerzia legislativa” e invitando il legislatore a intervenire. A due anni dalle pronunce il Parlamento non è intervenuto.
Professoressa, secondo lei c’è la possibilità che la Consulta possa nuovamente intervenire?
È sicuramente importante che la questione torni alla Corte costituzionale, anche perché sono passati più di due anni. Nelle due sentenze si capiva chiaramente che per la Corte, almeno in quel momento questa situazione costituisse un vulnus per l’interesse del minore. Si però tratta di decisioni non sulla parità dei diritti delle coppie, ma di famiglie che già esistono e sui diritti violati dei bambini, che vengono esposti a una situazione di fragilità maggiore rispetto agli altri. La Corte costituzionale riconosce una situazione di lesione costituzionale, ma si ferma dicendo che ci deve pensare il legislatore. In entrambi i casi il monito è molto forte e sollecito.
Ma il legislatore nulla ha fatto e a questo punto, con ogni probabilità, nulla farà…
Proprio per questo la questione può tornare al vaglio dei giudici costituzionali. E ben potrebbe la Corte stabilire, dal momento che il legislatore è inerte e non risponde, di intervenire. Anche se bisogna specificare che ovviamente la Corte interviene solo sul caso su cui viene sollevata la questione. C’è un principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato nel processo costituzionale. La Corte, in linea di principio, non può modificare il thema decidendum quindi non può ampliare decidendo anche sulle coppie di uomini. In linea di principio dovrebbe attenersi a quello che le viene chiesto.
Ci sono casi in cui la Corte non l’ha fatto?
Sì, con la sentenza 422 del 95 con cui sostanzialmente in cui la Corte Costituzionale ha bocciato tutte le quote rosa. La questione riguardava solo la legge elettorale comunale, ma la pronuncia è stata estesa a tutte le leggi elettorali. Ovviamente è un caso su cui noi costituzionalisti abbiamo ritenuto che sia stato, in qualche modo, violato il principio del processo costituzionale e della corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Ma ci sono anche altri casi: come la sentenza del caso “Cappato”. Non era stato chiamato in causa l’articolo 32 della Costituzione (la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, ndr), ma la Corte ha riformulato il cosiddetto thema decidendum ed è andata avanti con la nota decisione.
Cosa potrebbe succedere quindi?
Che la Corte, di nuovo, non voglia fare da sola perché si tratta di un tema eticamente sensibile. In questo caso, potrebbe dare un monito più forte al legislatore con una doppia pronuncia: cioè accertare l’incostituzionalità e dare un termine al legislatore per intervenire, come avvenuto sul caso “Cappato” e anche sul carcere per i giornalisti. E successivamente, soltanto dinanzi all’inerzia potrebbe decidere di intervenire. Potrebbe anche succedere che possa decidere diversamente, anche in senso peggiorativo, rispetto alle sentenze precedenti. La Corte comunque dovrebbe sempre riferirsi ai precedenti, ma questo nulla ci dice sul futuro. Io, comunque, credo che sia importante che la questione torni alla Corte costituzionale perché certamente è l’unico organo, in questo momento, in grado di fare da solo oppure di dare un monito al legislatore.
C’è un altro problema però quello della discriminazione tra uomini e donne e tra coppie
Allora da un punto di vista di articolo 3 della Costituzione (la legge è uguale per tutti… ndr) l’eventuale discriminazione scatta tutte le volte in cui ci sia un elemento di raffronto che sia omogeneo. C’è sicuramente una discriminazione tra coppie omosessuali femminili e le coppie eterosessuali sulla procreazione medicalmente assistita. Perché negare alle coppie femminili quello che è già ritenuto legittimo per le altre?
Per gli uomini c’è anche il tema della gestazione per altri…
È vietata dal nostro ordinamento e sul tema ci sono varie scuole di pensiero. Però è evidente che dal punto di vista dei bambini già nati sarebbe una discriminazione confermare gli atti di nascita di quelli nati da coppie femminili e annullare quelli dei figli di coppie maschili come ha fatto il Tribunale di Milano. Non lo condivido. C’è un’importante tematica dietro, siamo di fronte al fatto che esistono delle morali dall’alto in tema di famiglia che la nostra Costituzione non tollera. La Corte costituzionale (relatore Zagrebelsky sentenza 494 del 2002) ha stabilito che la Costituzione non ammette una famiglia nemica “delle persone e dei loro diritti”. Impostazione che era stata poi ribadita in un’altra decisione successiva (relatore Zanon sentenza 223 del 2015).
Però esiste la sentenza Sezioni Unite (31 dicembre 2o22) che si è espressa su due papà veneti per cui è stato annullato il certificato di nascita. Secondo lei quindi c’è ancora qualcosa da fare?
La Cassazione dà una interpretazione delle norme e ha una funzione normofilattica: le decisioni della Cassazione dovrebbero quindi orientare l’interpretazione di tutti i giudici costituendo il diritto vivente, ma proprio per questo e a maggior ragione, se anche da un solo giudice è ritenuta in contrasto con la Costituzione, è possibile sollevare una questione di legittimità costituzionale e chiedere alla Corte Costituzionale di pronunciarsi.
La Costituzione, che è la legge fondamentale dello Stato, dice che la legge è uguale per tutti. Perché una donna può avere una compagna e avere un bambino e un uomo può avere un compagno, ma non può avere un bambino?
La maternità surrogata è vietata penalmente ed anche un tabù per una parte del mondo femminista. Negli Stati Uniti e in altri paesi la gestazione per altri è una pratica accettata socialmente e regolata. Il tema è quanto la società debba ancora condizionare e comprimere le libertà individuali. Purtroppo da vent’anni in Italia, ma forse anche di più, abbiamo riproposto una morale di Stato quella contro cui i nostri costituenti si sono battuti. Lo spazio per uno stato laico diventa sempre più asfittico. La Corte dovrebbe essere massimamente attenta a fare pronunce che garantiscano le libertà individuali di tutti e fino in fondo. Una decisione dall’alto, come quella che impedisce agli uomini di accedere alla surrogacy trasformandola di fatto in una coppia sterile, non è giusta e non è corretta.