L’Ungheria di Viktor Orban – dove l’aborto è considerato un crimine e le donne che lo praticano da punire – continua ad ispirare le politiche del partito della premier.
A Roma, il VI Municipio guidato da Nicola Franco di Fratelli d’Italia ha presentato una proposta per introdurre nell’articolo 14 della legge 194 che regola l’Ivg (interruzione volontaria di gravidanza) il seguente comma: “Il medico che effettua la visita che precede l’interruzione volontaria di gravidanza ai sensi della presente legge è obbligato a far vedere tramite esami strumentali, alla donna intenzionata ad abortire, il nascituro che porta nel grembo e a farle ascoltare il battito cardiaco dello stesso”.
Un cuore che batte, questo il titolo della petizione per sostenere la proposta con relativi orari della sede istituzionale del municipio dove firmare. Un’iniziativa che secondo chi l’ha partorita (l’uso del verbo è voluto) dovrebbe indurre la donna a rinunciare ad abortire. Come se non fosse già di per sé doloroso il tormento emotivo di una donna che compie una scelta simile.
Che una tale proposta arrivi poi dal partito il cui presidente è una donna rende la cosa, oltre che priva di ogni senso di umanità, ancora più aberrante. Sarebbe questa un’iniziativa che dovrebbe promuovere la natalità? O molto semplicemente una politica contro una legge dello stato e contro le donne? Donne ridotte ad ancelle della Repubblica di Galaad, “nient’altro che grembi con due gambe, sacri recipienti, calici ambulanti”. Ma detto così, letterariamente, non rende per intero l’iniziativa in tutta la sua oscenità.
Questi movimenti sociali, politici e di opinione (la petizione Un cuore che batte è sostenuta dall’associazione “Ora et labora in difesa della vita” insieme ad altre 14 associazioni – tra i quali Pro Life & Famiglia onlus) non sono tuttavia nuovi a iniziative volte a criminalizzare le donne che compiono la scelta dell’interruzione di gravidanza. Promotori di operazioni finalizzate a determinare senso di colpa per aver deliberatamente ucciso una persona (embrione o feto) come il cimitero dei feti abortiti tre anni fa, quando al cimitero Flaminio di Roma furono scoperte le tombe sulle cui croci erano scritti i nomi delle donne che avevano abortito tra le 20 e le 28 settimane; nella maggior parte dei casi si trattavano di aborti terapeutici. A promuovere i cimiteri dei feti, in ben tredici regioni c’è l’associazione cattolica “Difendere la vita con Maria”.
Nell’ultima legge di bilancio ci sono più tasse su pannolini e assorbenti, latte in polvere per bambini e seggiolini per auto; si stima in conclusione che i consumatori pagheranno oltre 162 milioni di euro in più. Il governo poi annuncia un aumento del Fondo per gli asili nido, il cui obiettivo è il nido gratuito per i secondi figli e la decontribuzione per le donne che lavorano e che hanno due o più figli, mentre una recente ricerca dice che con l’arrivo del secondo figlio il 90% dei padri continua a lavorare, mentre una mamma su due lascia il lavoro. Così le famiglie diventano monoreddito e a rischio maggiore di povertà.
Una politica davvero giusta ed equa a sostegno della natalità sarebbe piuttosto la perequazione degli stipendi tra uomini e donne, un divario retributivo di genere ingiustificato: i dati dell’Osservatorio sui lavoratori dipendenti del settore privato registrano una differenza di retribuzione fino a 8mila euro annui. Un gender gap sessista, medievale. È per questo che una donna su due lascia il lavoro al secondo figlio; tra due stipendi, se è la moglie a guadagnare meno del marito, è quasi naturale sacrificare il proprio lavoro meno valorizzato e sottopagato rispetto a quello del marito.
Effettivamente, nel caso della nostra premier, in un momento di criticità è stato il marito a lasciare il lavoro per salvaguardare il posto di lavoro della moglie… Ah no! Quella è un’altra storia. Sorry!