Questo è il messaggio - volutamente provocatorio in tempi di diete intermittenti, dissociate, chetogeniche e quant’altre - lanciato da Andrea Casadio nel suo nuovo libro Mangia Bevi Ama, in libreria dal 15 novembre (per il marchio Wingsbert House diretto dal prof Alberto Grandi) - L'ESTRATTO IN ESCLUSIVA
L’ossessione salutista fa male alla salute. Lo dice la scienza stessa. Questo è il messaggio – volutamente provocatorio in tempi di diete intermittenti, dissociate, chetogeniche e quant’altre – lanciato da Andrea Casadio nel suo nuovo libro Mangia Bevi Ama, in libreria dal 15 novembre (per il marchio Wingsbert House diretto dal prof Alberto Grandi). L’autore pare avere discreti titoli per parlarne: Casadio è infatti medico, già docente universitario e ricercatore di neuroscienze alla Columbia University di New York, nonché autore televisivo e inviato di varie trasmissioni (Sciuscià, Annozero, Servizio pubblico, Piazzapulita).
Se, al contrario, si va ad esaminare quello che dicono esattamente la scienza e le ricerche in materia, la conclusione è tutt’altra. Si può vivere sani e a lungo senza rinunciare a nessun piacere, mangiando con moderazione tutto quello che vogliamo e bevendo con tranquillità qualche bicchiere di vino o di birra. “Perché spesso rinunciare a qualcosa” scrive Casadio “fa più danni che concedersi qualche piacere”. E la dimostrazione di questa verità, a suo dire, non è solo filosofica, è scientifica.
L’unica prescrizione efficace, allora, è semplice come il titolo del libro. Mangia, bevi, ama. Cioè vivi con spirito lieve, sincero e consapevole. Farai del bene a te stesso e a quelli intorno a te.
L’ESTRATTO IN ANTEPRIMA ESCLUSIVA
Le diete fanno male
I tanti studi sull’uomo dimostrano che le diete a restrizione calorica, come la dieta del digiuno nelle sue diverse varianti, danno risultati dubbi, oppure che non funzionano e potrebbero persino fare male.
Per esempio, Rafael de Cabo, uno degli scienziati dell’Istituto Nazionale di Ricerca sull’Invecchiamento statunitense che ha condotto l’esperimento sulle scimmie, ha recentemente scritto un articolo che prende in esame tutti gli studi su quell’argomento e li riassume, comparso sul «New England Journal of Medicine»19 in cui scrive: «La dieta intermittente ha benefici ad ampio spettro su molte condizioni sanitarie, come obesità, diabete mellito, disturbi cardiovascolari, cancro e disturbi neurologici». Però, prosegue, «resta da determinare se le persone possano mantenere un digiuno intermittente per anni e potenzialmente accrescere i benefici visti in modelli animali. Inoltre, gli studi clinici si sono focalizzati soprattutto su giovani sovrappeso e adulti di mezza età, e non possiamo generalizzare ad altri gruppi di età i benefici e la sicurezza di una dieta intermittente che sono stati osservati in questi studi». E chiude dicendo che «certe persone sono non disposte o incapaci di intraprendere una dieta intermittente». Detto in parole più semplici: se sei un obeso una dieta intermittente potrebbe farti bene, ma se sei una persona normopeso riuscire a digiunare in maniera intermittente per tutta le vita è praticamente impossibile perché richiede uno sforzo psichico e fisico troppo elevato, e se anche se riesci non è detto che migliori la tua salute e ti faccia vivere più a lungo.
Difatti, un gruppo di scienziati dell’Università di Clermont Ferrand, in Francia, guidati da David Thivel, ha raccolto tutte le ricerche condotte su individui normopeso che si erano sottoposti a diete, li ha analizzati dal punto di vista statistico, e ha riassunto i risultati in un articolo che fin dal titolo si pone una domanda esplicita: «Se un individuo normopeso fa una dieta c’è il rischio che prenda ancora più peso?»20. Scrivono gli autori: «Nella popolazione generale, le diete sono in enorme aumento, ma le pratiche volte a perdere peso potrebbero costituire un fattore di rischio per un aumento di peso negli individui normopeso. […]». Detto in parole semplici, se sei normopeso e ti metti a fare una dieta non solo non ci guadagni in salute ma alla fine ti ritrovi perfino più grasso di prima.
E poi è arrivata la sentenza finale. Nel novembre del 2021 un gruppo di scienziati dell’Università di Washington, guidati da Matt Kaeberlin, ha pubblicato su «Science», una delle due riviste scientifiche più prestigiose al mondo assieme a «Nature», un articolo che ha preso in esame tutti gli studi pubblicati su quale fosse l’effetto delle diete anti-invecchiamento compiuti su qualsiasi essere vivente – dal verme Caenorhabditis elegans all’uomo – e che ha un titolo eloquente: Le diete anti-invecchiamento: separare i fatti dalla fantasia21. Le diete anti-invecchiamento sono tutte quelle che promettono la ricetta miracolosa: mangiate meno e vivrete più a lungo, e quindi dieta anti-invecchiamento in realtà è sinonimo di dieta ipocalorica, o del digiuno. Scrivono gli autori: «[…] Quando consideriamo le prove scientifiche per le diete anti-invecchiamento nell’uomo, noi ci poniamo due questioni principali. La prima è: quanto forti sono le prove scientifiche che questi interventi effettivamente rallentano o invertono l’invecchiamento biologico delle persone? La seconda è: ci sono potenziali effetti collaterali che potrebbero superare i benefici per una longevità sana? Sfortunatamente, al momento non è possibile sapere se le diete a restrizione calorica hanno un effetto biologico sull’invecchiamento delle persone. A differenza dei topi, studi controllati avrebbero bisogno di essere condotti su un periodo di molti anni per accertare benefici a lungo termine sulla lunghezza della vita e sullo stato di salute dell’uomo. Mentre la maggior parte delle ricerche sugli animali hanno studiato gli effetti di un intervento nutrizionale durato tutta la vita, pochissime persone manterranno uno stile di vita a restrizione calorica continuamente per molti decenni dell’età adulta. Invece, nell’uomo sono la norma ripetuti cicli di cibo ad libitum e consumo a restrizione calorica. Gli effetti nocivi della cosiddetta dieta a yo-yo sono ben documentati, e, portati agli estremi, possono risultare in una sindrome da ri-alimentazione potenzialmente fatale, con conseguenze severe come ipotensione, danni ai reni, e insufficienza cardiaca. Anche interventi dietetici moderati non sono privi di un qualche livello di rischio a lungo termine. In conclusione, anche se queste diete in qualche caso hanno acquisito una popolarità ampia tra il pubblico, rimangono molti interrogativi sugli esiti individuali e i relativi rischi associati con il loro utilizzo lungo termine».
Ovvero: le diete a restrizione calorica nell’uomo non funzionano e danno risultati dubbi o addirittura fanno male, perché nessun essere umano sano di mente riesce a sopportare una dieta del digiuno prolungata, ma prima poi cede, col rischio di darsi ad abbuffate che potrebbero danneggiare la sua salute. E se dopo un periodo lungo di digiuno ti metti a fare abbuffate rischi di ingrassare seriamente e di mettere a repentaglio la tua salute.
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Nella nostra società moderna c’è chi intraprende un digiuno prolungato volontario per motivazioni politiche, sociali, religiose o… estetiche. Chi si mette a dieta per raggiungere un determinato peso non cerca la salute o la longevità. Vuole raggiungere un peso più basso, va alla ricerca di un parametro quantificabile e controllabile e al tempo stesso carico di valore simbolico. Il peso è un numero che rimanda all’aspetto del nostro corpo. Vuole esercitare un sovrano controllo della sua psiche sul suo corpo. Vuole raggiungere la purezza e la perfezione.
Il corpo è uno strumento pratico fondamentale che noi usiamo per intrecciare relazioni sociali. Con il nostro corpo, con la sua bellezza, ci presentiamo e ci facciamo accogliere o respingere, accettare e giudicare dal mondo. Un bell’aspetto è un buon biglietto da visita, e il peso è il voto al nostro aspetto. Tuttavia, con l’aspetto corporeo si ricade nell’ambiguità del giudizio soggettivo qualitativo e non quantificabile. Cosa definisce una bella presenza, un corpo attraente? Essere magri ci permette di piacere agli altri. Ecco cosa sono le diete: lo strumento per raggiungere una magrezza che ci permette di piacere agli altri. E quel senso di controllo sul nostro corpo è la nostra droga.
Però, chi sta facendo una dieta per dimagrire non ci riuscirà quasi mai, perché, e qui sta il bello, la maggior parte degli studi scientifici dimostra chiaramente che le diete non solo non fanno perdere peso, ma fanno persino ingrassare.
[…] Le diete sono esattamente così: funzionano una volta su cento. Lo sanno bene le grandi compagnie multinazionali della dietetica che ci fanno i miliardi. La MarketData, una grande compagnia di marketing, nel 2002 ha analizzato il mercato degli Stati Uniti per conto delle aziende di dietetica, e ha calcolato che in quel Paese per fare diete i consumatori spendono ogni anno trentanove miliardi di dollari22. La Datamonitor, un’altra grande compagnia di marketing, sempre per conto delle aziende di dietetica nel 2003 ha esaminato il mercato europeo, e ha concluso che in quell’anno i consumatori avevano speso in diete novantatré miliardi di euro23. Nel suo rapporto confidenziale, la Datamonitor scrive: «Quest’anno, duecentotrentuno milioni di europei hanno fatto una dieta. Solo l’un per cento otterrà un calo di peso permanente». Solo l’un per cento di chi fa una dieta perde peso, e tutti gli altri – il novantanove per cento – rimarranno dello stesso peso o addirittura ingrasseranno. Se lo dicono persino loro che ve le vendono vi potete fidare.
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Mettersi a dieta ti fa ingrassare? è il titolo di un famosissimo libro pubblicato in Gran Bretagna nel 1983, opera di Geoffrey Cannon, un giornalista, ed Hetty Einzig, una esperta di nutrizione. I due autori lo dedicarono «a quei milioni di persone in Occidente che sono più grasse di quel che vorrebbero essere, che hanno provato a fare una dieta, che hanno scoperto che le diete non funzionano, e che vogliono sapere il perché». Il titolo sembra paradossale, eppure dice la verità: mettersi a dieta fa ingrassare. Diverse ricerche hanno dimostrato che fare una dieta può provocare stati psicologici negativi. Per esempio, ormai è noto che chi sta facendo una dieta è più facilmente preda di ansia e depressione, può mostrare deficit in certi aspetti delle sue capacità cognitive, come la perdita di attenzione, un calo di memoria, e una certa stanchezza mentale. Chi fa una dieta mostra una più alta probabilità di sviluppare un disturbo del comportamento alimentare, e persino un rischio aumentato di sviluppare malattie e di morire24.
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Un team di esperti della nutrizione dell’Università della California di Los Angeles ha analizzato tutti gli studi a lungo termine sulle diete, compiuti su chi ha fatto una dieta per un periodo compreso i due e i cinque anni. I risultati sono stati esposti in un articolo26 dal titolo assai eloquente, La ricerca di un trattamento efficace contro l’obesità: le diete non sono la risposta, pubblicato su «American Psychologist», la rivista dell’Associazione degli Psicologi Americani. Tracy Mann, una delle ricercatrici, ha riassunto i dati così: «Le diete non portano affatto una perdita di peso, o benefici sulla salute, per la maggioranza delle persone».
19 De Cabo, R., Mattson, M., Effect of intermittent fasting on health, aging and disease, «New England Journal Of Medicine», 381, 2019, pp. 2541-2551.
20 Pélissier, L., Bagot, S. et al., Is dieting a risk for higher weight gain in normal-weight individual? A systematic review and meta-analysis, «Br. J. Nutr.», 16, 2023, pp. 1-23.
21 Lee, M., Hill, C., Bitto, A., Kaeberlein, M., Antiaging diets: Separating fact from fiction, «Science», 374, 2021.
22 MarketData Enterprises, The Us weight loss and Diet control market, 7th ed, 2002.
23 Datamonitor, Diet watchers, 2003. 96
24 Hill, A., Does dieting make you fat?, «British Journal of Nutrition», 92, 2004, S15-S18.
25 Vedi Hill, A. (200) ibidem, Dulloo, A.G., Jacquet, J.J. et al.,
How dieting makes the lean fatter: from a perspective of body composition autoregulation through adipostats and proteinstats awaiting discovery, «Obesity Reviews», 16(S1), 2015, pp. 25-35.
26 Mann, T., Tomiyama, A.J. et al., Medicare’s search for effective obesity treatments: diets are not the answer, «Am. Psychol.», 62, 2007, pp. 220-233.