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“Miserabili le parole del vescovo di Potenza, mai chiesto risarcimento in cambio del nostro silenzio”: il fratello di Elisa Claps replica alle accuse di monsignor Ligorio

Il fratello di Elisa era in collegamento con la trasmissione "Chi l’ha visto" che in studio ha ospitato anche Gianmarco Saurino, l’attore che l’ha interpretato nella serie Rai “Per Elisa”

Lo sguardo è lucido e provato, ma non è spento. È pieno di forza. Da dove venga è davvero difficile immaginarlo. Filomena Claps è madre coraggio, perché non ha mai smesso di lottare per sua figlia. Forse quella forza viene dai duemila ragazzi che sabato scorso erano sotto casa di Elisa, davanti al suo portone. Lo stesso da cui la ragazza uscì quella mattina del 12 settembre del ’93 per non tornare mai più. Ad aspettarla c’era la sua amica Eliana, da cui si separò per entrare in chiesa dove ad aspettarla c’era Danilo Restivo, condannato per il suo omicidio dopo 17 anni in Inghilterra dove poi ha ucciso un’altra donna, la sua vicina di casa. “Ci sono voluti 30 anni di sacrifici e dolore ma vedere tutta questa gente per Elisa è un onore. Vi vorrei abbracciare tutti”: ha detto mamma Filomena ai ragazzi. “È stato un passaggio generazionale, vedere oltre duemila ragazzi che urlavano il nome di Elisa è stato straordinario”, ha detto ieri Gildo Claps, il fratello di Elisa, in collegamento con la trasmissione Chi l’ha visto che in studio ha ospitato anche Gianmarco Saurino, l’attore che l’ha interpretato nella serie Rai “Per Elisa”.

“L’arcivescovo di Potenza Salvatore Ligorio è riuscito a sporcare anche quella giornata, quel vento di primavera”. Gildo Claps si riferisce all’intervista che, dopo la manifestazione di sabato, Ligorio ha rilasciato al Corriere e in cui ha detto che “La famiglia Claps chiedeva un risarcimento ma noi abbiamo detto di no”. “Non avete nulla da giustificare, lo sento profondamente. I familiari si tolgono il pane da bocca per avere i figli a casa ma se vuoi puoi rispondere”, ha replicato la conduttrice Federica Sciarelli che segue questo caso da anni. “Ma queste cose fanno male – ha aggiunto Gildo –. Non c’è stata mai una richiesta di risarcimento in cambio del nostro silenzio, questa affermazione è miserabile. La verità in questi anni da questi studi l’abbiamo raccontata, consegnata, adesso nessuno ha più scuse. Se qualcuno si rifiuta ancora di vederla è in mala fede, non ho altro da dire”.

In realtà, a chiedere il risarcimento non è stata la famiglia Claps, ma gli stessi sacerdoti della Chiesa della Santissima Trinità in cui quella mattina di settembre di 30 anni fa Elisa fu assassinata da Danilo Restivo e in cui è rimasta sepolta da un muro di omertà per ben 17 anni. A ritrovarla, solo dopo la morte del parroco don Mimì Sabia, furono degli operai, durante dei lavori, il 17 marzo del 2010. Ebbene, il tribunale di Salerno glielo negò quel risarcimento, a causa della loro negligenza, riferendosi alla chiesa della Santissima Trinità che aveva chiesto di potersi costituire parte civile per ottenere una condanna in favore della Parrocchia da parte dei Restivo. Il vescovo Agostino Superbo, il giorno dopo il ritrovamento del corpo di Elisa, si presentò in Chiesa con un avvocato. Davanti alle telecamere dei giornalisti disse: “Sono venuto a concordare con i funzionari che stanno dirigendo le indagini i tempi per la riapertura al culto e alle altre attività. La chiesa non è sconsacrata, non è avvenuto niente in questa chiesa. La chiusura è un atto di collaborazione dovuta, penso che ci vorrà almeno una settimana perché riapra. Niente di male è accaduto qui dentro”.

Quella Chiesa ha riaperto dopo 17 anni tra il dissenso della comunità lucana e non silo. Eppure Restivo non aveva mai negato di aver visto Elisa proprio in quella chiesa. Lo aveva detto durante il processo che ci era entrato con Elisa. Che avevano parlato davanti alla canonica, dietro l’altare, vicino all’ufficio del Parroco. Dopo 30 anni, restano molte domande senza risposta. La presa d’aria, i fori nel sottotetto in corrispondenza del cadavere di Elisa per fare uscire i miasmi del suo corpo martorizzato a morte. “Di certo non può averli fatti Restivo, sconvolto da quanto aveva fatto – ha aggiunto la Sciarelli, che conosce benissimo questa storia. E cosa ci faceva in quel sottotetto un materasso? E quel bottone rosso porpora, in prossimità de corpo di Elisa?”. Quel bottone fu analizzato dall’esperta Eva Sacchi, che disse che era un bottone usato negli abiti talari cardinalizi. “Fu presa una foto di Don Mimì – ha specificato Sciarelli – in cui si vedeva che al suo abito mancava un bottone. Non era quello, stabilì la nella perizia ma Sacchi scrisse anche che le condizioni dell’abito usurato e l’ottima condizione di bottoni facevano credere che i bottoni fossero stati sostituiti. Domande per cui dovrebbero esserci delle risposte”.

Il vescovo dice che tirerà fuori un dossier. “Dovrebbero consegnarlo alle autorità, non siamo uno Stato in cui c’è la polizia segreta della curia potentina che li rilascia alla stampa. Dovrei ricordare tutte le nefandezze di questa storia. Persino la dottoressa Barbara Strappato della Squadra Mobile di Potenza, ha detto che quello del 2010 non fu il primo ritrovamento di Elisa ma una messa in scena. Ad ogni modo, non c’è bisogno di una condanna giudiziaria, è la storia che li condanna, la città e il Paese intero”.

Quella condanna è arrivata forte domenica 5 novembre quando centinaia di persone hanno manifestato a Potenza, davanti a quella chiesa che è stata la tomba di Elisa, perché contrari alla riapertura al culto. “Non c’erano talebani lì davanti ma famiglie di credenti con bambini a urlare vergogna per la rimozione della verità. Possibile che non riusciate a chiedere scusa ad ammettere le vostre responsabilità. Possibile che non riusciate a chiedere scusa?”, si chiede Gildo Claps insieme a tutta la comunità potentina e non soltanto