di Margherita Cavallaro

Avevo in programma un blog sulla cancel culture, ma non l’ho mai finito perché la guerra a Gaza mi ha francamente gettato in una crisi spirituale a causa della tragedia umana. Volevo parlarne, ma non riuscivo mai a trovare un pretesto appropriato che non facesse sembrare un mio intervento come un semplice saltare sul treno della notizia bollente.

Mi ero quindi rassegnata a mantenere un rispettoso silenzio, ma Israele ha pensato di venirmi a cacciare dalla bocca le parole con le pinze decidendo di postare su X (e intendo proprio l’account ufficiale dello Stato) la foto di un soldato tra le macerie con una bandiera arcobaleno con su scritto “in nome dell’amore”. La didascalia riporta “la prima bandiera del pride alzata a Gaza”. Mannaggia alla pasta alla puttanesca (perché data la situazione non posso nemmeno dire “li mortacci vostra” senza sentirmi quantomeno inopportuna e irrispettosa).

Voglio dare il beneficio del dubbio al soldato, che magari è lì convinto da anni di lavaggio del cervello che i bambini di Gaza nascondano tutti candelotti di dinamite nei pannolini, e concedergli della buona fede e una certa dose di paradossale ingenuità. Lo stesso però non posso fare con l’istituzione che ha usato pubblicamente quell’immagine in maniera vergognosamente propagandistica, perché se fossero davvero preoccupati dei diritti delle persone LGBT+ a Gaza avrebbero piuttosto cercato di rendersi porto sicuro per i rifugiati queer palestinesi invece di mettere tutti nel mucchio e annientarli come se niente fosse.

Prima che qualcuno faccia il furbetto sofista, quello che ha fatto Hamas è stato terribile. D’altro canto è terribile quello che Israele fa ai palestinesi da 70 anni. D’altro canto è terribile come UK e USA giochino da secoli con le popolazioni native del mondo come fossero monnezza da riciclare in cambio di più soldi. Non è questo il punto. Non è una gara a chi ha fatto schifo prima. Il punto è che non ci si deve permettere di fare schifo usando i diritti della mia comunità discriminata come scusa.

Visto che come comunità siamo adesso stati direttamente tirati in ballo, io vorrei educatamente fare un’osservazione e chiedere cosa verrebbe detto se invece che di israeliani e palestinesi stessimo parlando di gay e etero. Immaginiamo che ogni volta che una persona LGBT+ viene pestata in un attacco omofobo o si uccide a causa del bullismo, la mitica lobby gay decidesse di uccidere dieci persone etero a caso, includendo nella scelta anche donne, anziani, malati e bambini. Poi, magari, unə di noi potrebbe pensare “secondo me si starebbe meglio senza persone etero a Milano, così siamo sicuri che non ci sono più omofobi”, e allora perché fermarsi a dieci quando potremmo liberare Milano da tutti gli eterosessuali perché è tra loro che si nascondono gli omofobi? Ecco, cosa direste in questo scenario? Pensate sarebbe una reazione proporzionata, giusta, giustificata dal nostro diritto di difenderci? Andreste in giro a chiedere alle persone eterosessuali che vengono uccise a caso se però condannano gli attacchi omofobi?

Considerando che non gli viene chiesto nemmeno adesso che noi non facciamo mai male ad una mosca invece che cercare vendetta, non penso proprio. Ecco, eppure Israele sta facendo questa stessa cosa qui, e siccome la comunità LGBT+ lotta da sempre davvero per il diritto di amare liberamente, scusatemi se quella foto davvero mi fa salire la bile. Quello che sta succedendo a Gaza non solo non ha niente a che vedere con “noi”, ma non ha niente a che vedere con l’amore.

Se hai a cuore una comunità l’aiuti e la proteggi, non cerchi di spingerla in condizioni sempre più vulnerabili per poi bombardarla meglio e mettere una bandiera sulle ceneri.
Se vedi una cacca per terra, l’unica azione civile è raccoglierla. Se invece che raccoglierla decidi di farcene sopra una dieci volte più grande, poi non puoi pretendere che la gente non ti dica quando tu sia incivile e quanto la tua cacca in mezzo alla strada faccia schifo, nemmeno se ci metti sopra una bandierina colorata.

In conclusione, per contrasto, voglio raccontare di un’iniziativa ad opera del collettivo Dyke Project che, a Londra, ha sostituito le pubblicità su centinaia di bus e metro con storie e messaggi di palestinesi queer derivati dalla piattaforma Queering the Map (www.queeringthemap.com, sito per collezionare e archiviare esperienze queer in relazione allo spazio fisico nel mondo), proprio per combattere la falsa narrativa che le bombe difendano le persone invece che farle a pezzi, e per aiutare a restituire l’umanità a chi si cerca altrimenti solo di cancellare. Uno dei miei preferiti, proveniente proprio da Gaza, legge: “ho sempre immaginato me e te sedutə sotto il sole, mano nella mano, finalmente liberə. Parlavamo di tutti i posti dove saremmo andatə se avessimo potuto. Eppure ora te ne sei andatə. Se avessi saputo che le bombe che ci piovono addosso ti avrebbero portatə via da me, avrei felicemente detto al mondo quanto ti adorassi più di ogni altra cosa. Mi dispiace di essere statə unə codardə”.

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