Faccio seguito alle osservazioni sullo sgangherato disegno di legge per la modifica costituzionale che ho già espresso sul questo blog su ilfattoquotidiano.it, per richiamare l’attenzione dei miei concittadini sulla più grave menzogna che è stata diffusa sull’argomento: l’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei Ministri darebbe somma importanza al “voto” del “popolo sovrano”. E’ falso. Bisognerebbe invece parlare del “voto del popolo per il sovrano”. Infatti non deve sfuggire che, secondo questo disegno, la “determinazione della politica nazionale”, e cioè “l’essenza” della politica governativa, non avviene più in Parlamento nel quale si confrontano le opinioni dei “rappresentanti del popolo”, come si deduce dall’attuale articolo 49 della vigente Costituzione, ma viene decisa prima delle elezioni, nel “programma” presentato da uno sparuto gruppo del Corpo elettorale collegato alla candidatura del Presidente del Consiglio.

E il Presidente della Repubblica è costretto a nominare il Presidente del Consiglio eletto e, addirittura, in caso di cessazione dalla carica del Presidente dimissionario, è obbligato a conferire l’incarico di formare il governo allo stesso Presidente del Consiglio, oppure a un altro parlamentare che è stato candidato in collegamento con detto Presidente del Consiglio. E, se questa operazione non riesce, è tenuto a sciogliere le Camere. In questo quadro, davvero non si capisce quale sia l’utilità di mantenere in vita, sia il Presidente della Repubblica, sia lo stesso Parlamento.

Non deve sfuggire la gravità di questo disegno che sconvolge l’intera struttura della democrazia parlamentare. Infatti, in tal modo, viene reciso il concetto stesso di “rappresentanza”, poiché all’elettore si dà solo la possibilità di votare un “programma prestabilito” e gli si toglie qualsiasi possibilità di far valere le proprie opinioni e le proprie istanze durante tutto il corso della legislatura tramite i propri rappresentanti parlamentari. La valenza del “voto” è in altri termini ristretta al limite minimo: dire un sì o un no su un certo programma. E tutto questo in palese e sfrontata violazione dell’art. 49 della vigente Costituzione, secondo il quale “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. E non sfugga che è la stessa “funzione” del Parlamento che è messa fuori gioco. Infatti, secondo il disegno di legge in questione, il Presidente del Consiglio eletto e i parlamentari a esso collegati hanno il compito (con obbligo di mandato e in piena contraddizione con l’articolo 67 della vigente Costituzione) di attuare il predisposto “programma” elettorale, sul quale hanno conseguito la vittoria anche per un solo voto. Peraltro un programma che non può essere mutato durante tutto il corso della legislatura (come se in cinque anni non possano verificarsi dei cambiamenti dello stato di fatto che dovrebbero necessariamente indurre a un mutamento di programma). Insomma uno spaventoso regresso nella costruzione del sistema democratico.

E, con l’occasione, non posso fare a meno di sottolineare che, conformemente ai convincimenti di chi ha proposto questo disegno di legge, sono eliminati i cinque senatori a vita nominati dal Presidente della Repubblica. L’attuale Costituzione, all’articolo 59 sancisce che “ …il Presidente dalla Repubblica può nominare senatore a vita cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”. E’ un bel modo per far confluire nel Parlamento il soffio della più alta cultura ed anche per onorare coloro che hanno “illustrato la Patria per altissimi meriti”. Ma per chi ha promosso questo sconvolgente disegno di legge, l’ingresso della cultura in Parlamento è da evitare e il concetto stesso di “Patria” non ha alcun valore, poiché quello che conta non è più la Comunità, ma il predominio di un singolo.

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