Dopo essersi laureato ad Harvard, Arik Ascherman lasciò gli Stati Uniti negli anni Ottanta per andare in Israele a esercitarsi in vista di diventare rabbino. Un rabbino riformato che significa intendere la fede come una continua ricerca della verità e della conoscenza, obiettivo strettamente interlacciato alla ragione umana. Per questo motivo e per la propria esperienza di infaticabile difensore dei diritti umani, pluripremiato, il sessantaquattrenne fondatore dell’organizzazione umanitaria ‘Torah per la giustizia’ ci tiene a sottolineare che “non tutto quello che è legale è giusto”.

Rabbino Ascherman, Israele ha il diritto, anche secondo il diritto internazionale, di difendersi dopo il barbaro attacco terroristico del 7 ottobre da parte di Hamas, ma ritiene che si tratti di una reazione spropositata?
Sì, il mio Paese ne ha tutto il diritto perché ciò che Hamas ha perpetrato è osceno e dobbiamo evitare che accada nuovamente, ma la punizione collettiva contro gli abitanti di Gaza è eticamente inaccettabile. Bisogna saper distinguere tra terroristi palestinesi e palestinesi terrorizzati. Ci deve pertanto essere un limite a una, ripeto, giusta reazione. Anche la Torah è contraria all’uccisione di civili innocenti.

È facile a dirsi ma difficile, per non dire impossibile, a farsi, visto che i capi di Hamas si nasconderebbero nei tunnel sotto gli ospedali.
Certo, è molto difficile non superare il limite dopo quel che è accaduto il 7 ottobre, ma se è accaduto è anche dovuto al fatto che il governo israeliano e la comunità internazionale non hanno avuto e non hanno la volontà di trovare una soluzione negoziale.

Ma Hamas vuole solo ed esclusivamente la distruzione di Israele, come si può dialogare con chi ti vuole annichilire?
Impedendo l’oppressione e l’ingiustizia nei confronti dei civili palestinesi che ogni giorno in Cisgiordania devono subire le angherie e gli assalti criminali dei coloni, sempre difesi dalle forze di sicurezza israeliane. L’ho sperimentato più volte sulla mia pelle. Quando sono stato attaccato io stesso non ho mai ricevuto ascolto dai soldati e dalla polizia israeliana che presidiano i Territori occupati, anzi sono pure finito in carcere per disobbedienza e altri capi di imputazione.

Lei da decenni difende i palestinesi e i beduini dall’oppressione violenta dei coloni. Ritiene che nei Territori dove si reca spesso stia per scoppiare una terza Intifada?
Potrebbe, perché la condizione in cui vivono i palestinesi è insopportabilmente ingiusta, anche a causa della corruzione dell’Anp, ma è anche vero che sanno a cosa vanno incontro.

Ovvero?
La gente comune palestinese non ha visto migliorare le proprie condizioni di vita dopo la seconda Intifada. Sanno di avere molto da perdere comunque da una guerra, ma la situazione è andata davvero peggiorando negli anni, non solo dopo la nascita del governo estremista di destra religiosa guidato da Netanyahu.

Secondo lei sarà mai possibile distruggere Hamas?
Puoi uccidere i capi e tutti i membri di Hamas, ma non puoi uccidere un’idea, giusta o sbagliata che sia.

Lei si batte molto contro la distruzione delle case dei parenti dei militanti palestinesi e dei beduini. Perché lo ritiene così importante da profondere così tanti sforzi?
Perché anche se in Israele è legale, è allo stesso tempo profondamente immorale. E il mio disappunto è nei confronti della comunità internazionale che non fa pressioni su Israele affinché ponga fine a questo crimine.

Cosa la preoccupa ora?
La mancanza di una leadership internazionale in grado di svolgere un genuino ruolo di mediazione. Mi ha anche sconvolto constatare che la comunità femminile mondiale non ha manifestato solidarietà alle donne israeliane stuprate dai terroristi di Hamas.

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