Con l’ultimo esame, il più difficile, termina il mese del rating italiano. Venerdì sarà Moody’s, l’ultima delle tre grandi agenzie di rating, a pronunciarsi sul voto da affibbiare all’Italia. Mantenere invariato il suo Baa3, allineandosi alle decisioni conservative di Standard & Poor’s e Fitch, oppure dar seguito alla previsione negativa pronunciata nell’agosto del 2022. Il cosiddetto outlook che quando viene girato in negativo, una volta su tre precede riduzioni di voto entro l’anno successivo. La questione non è di poco conto, soprattutto per il fatto che Baa3 è l’ultimo gradino della scala di Moody’s che identifica un titolo come “investment grade”, al di sotto si entra nel più burrascoso territorio dei bond di natura speculativa. Più un titolo è considerato rischioso, più alti sono gli interessi che un debitore deve offrire per farselo comprare. Una legge che vale anche per gli Stati e che per l’Italia, con una massa di titoli sul mercato che supera i 2mila miliardi di euro, è particolarmente cogente. Inoltre, per statuto, la Banca centrale europea può acquistare soltanto titoli con classificazioni non speculative, sebbene per bloccarne le operazioni sarebbe necessaria un’unanimità di giudizio tra le agenzie prese a riferimento. Nell’attesa i mercati sembrano piuttosto tranquilli. Nell’ultimo mese i rendimenti dei Btp decennali italiani sono scesi di 37 punti base, nell’ambito di un generalizzato movimento al ribasso, e lo spread con gli equivalenti titoli tedeschi (usati a riferimento perché considerati ciò che in Europa esiste di più prossimo al rischio zero) è ritornato intorno ai 180 punti.

Qualche analista ha ipotizzato che se Moody’s abbassasse il voto italiano il differenziale con i titoli tedeschi potrebbe salire fino a 250 punti. Nell’emettere il suo outlook negativo l’agenzia aveva evidenziato tre criticità: la crisi energetica, l’alto debito a fronte di una crescita lenta, la mancanza delle mitologiche “riforme strutturali”, spesso una formula che significa banalmente licenziamenti più facili. Nel frattempo c’è stata la presentazione della legge di bilancio che è in gran parte finanziata a deficit ma che non sembra avere numeri tali da stravolgere lo stato delle finanze pubbliche. Nelle sue valutazioni Moody’s tende a concentrarsi molto sul debito come percentuale del prodotto interno lordo, storico punto debole italiano in virtù di un rapporto intorno al 140%. Ormai non distantissimo però dai valori di Francia o Gran Bretagna che negli ultimi anni hanno sfondato quota 100% e con cui Moody’s non è stata particolarmente severa. A palazzo Chigi si incrociano le dita.

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