Per la prima volta dall’inizio del conflitto, Benjamin Netanyahu e il suo governo ammettono che le operazioni “mirate” a Gaza non sono state in grado, a differenza di quanto detto in più di un mese di conflitto, di salvaguardare la sicurezza dei civili. Un’affermazione che non sorprende, dato che le vittime nella Striscia hanno già superato le 11mila. Nonostante ciò, stando almeno alle sue parole, ulteriori trattative con Hamas per arrivare a un cessate il fuoco non sembrano essere contemplate: “Non ripeteremo le strategie fallite”.

Le immagini di migliaia di donne e bambini uccisi dalle bombe israeliane, degli ospedali e delle scuole attaccati in maniera indiscriminata per la presunta presenza di covi degli islamisti dentro agli edifici non possono più essere ignorate nemmeno dall’establishment di Tel Aviv. Anche perché ormai non solo i critici, ma anche i più stretti alleati del governo israeliano, come gli Stati Uniti, hanno a più riprese invitato i vertici a tutelare l’incolumità dei civili innocenti. Da questo parte il parziale mea culpa di Netanyahu riguardo alle azioni militari nella Striscia: Israele, ha detto, sta facendo tutto il possibile per tenere i civili lontani dal pericolo mentre combatte Hamas nella Striscia, anche “lanciando volantini” che li avvertono di fuggire, ma i suoi tentativi di ridurre al minimo le vittime “non hanno avuto successo”. Responsabile di questo fallimento, a suo dire, non è però l’esercito israeliano, bensì i miliziani palestinesi che userebbero i civili come scudi umani.

A questa consapevolezza non è coinciso però un cambio di strategia. L’obiettivo finale rimane lo stesso: “Sradicare Hamas”. “Abbiamo bisogno di un cambiamento culturale”, ha detto il premier aggiungendo che deve esserci un “futuro diverso sia per gli israeliani che per i palestinesi”.

Netanyahu rimane quindi fermo sulle sue posizioni nonostante l’appoggio internazionale alla campagna militare israeliana si sia ridimensionato. Dopo un periodo iniziale di solidarietà per il feroce attacco di Hamas che ha ucciso circa 1.400 civili innocenti, con i Paesi europei e gli Stati Uniti che riconoscevano il diritto di Israele a difendersi, le immagini di morte e distruzione pubblicate per settimane dalla Striscia di Gaza hanno convinto alcuni governi a cambiare, anche se non radicalmente, la propria postura. Perfino gli Usa ripetono ormai da settimane che le azioni di Tel Aviv devono tenere conto della necessità di garantire l’incolumità dei civili, oltre a ricordare che Gaza non può essere rioccupata e i suoi abitanti non possono essere trasferiti fuori dall’enclave forzatamente. Ma Netanyahu sa bene di essere alla fine della sua lunga parabola politica, ormai contestato sia a destra che a sinistra da chi gli attribuisce la maggior parte delle responsabilità per l’attacco del 7 ottobre scorso da parte di Hamas. Per questo, con i processi per corruzione che incombono, il suo obiettivo è quello di rimanere alla guida dell’esecutivo il più a lungo possibile. Questo vorrebbe dire però costringere Israele e Palestina a rimanere in uno stato di guerra permanente.

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