Si continua a dire che portino sfiga. Specie se ti attraversano di soppiatto la strada. A meno che non lo facciano da sinistra a destra, come si crede in Germania. Ecco perché venerdì 17 novembre (e quando sennò) è la Giornata internazionale del Gatto Nero, inventata dall’“associazione italiana difesa animali e ambiente”. O meglio, da noi ricorre in questa data mentre negli Stati Uniti, per esempio, il 17 agosto. Ma la sostanza non cambia, l’obiettivo è comune: black cats, alla riscossa.
Nel Medioevo erano associati alle streghe, reincarnatesi in forma felina e perciò mandati, tutti insieme, al rogo. Come spiegare altrimenti quella misteriosa e prodigiosa vista notturna? Per possedere un superpotere così bisognava essere, per forza di cose, in combutta col diavolo. Firmato, il papato. E se da un po’ di tempo la loro persecuzione fisica è cessata, resta, incrollabile e graffiante, quella morale, una brutta reputazione costellata di pregiudizi cristallizzati nell’immaginario collettivo. Soprattutto qui in Italia, e il web li rilancia.
Fateci caso: nei meme su Facebook, nelle stories su Instagram i gatti, è vero, spadroneggiano, a patto però che non sfoggino un manto color pece. Ma molto dipende dalle culture e dalle latitudini: in Gran Bretagna, Scozia e Giappone questi ultimi sono star pop e talismani, sprigionano magia bianca. Nel Sol Levante, in particolare, preannunciano solo prosperità e notizie radiose. Nell’epica celtica venivano considerati protettori contro il maligno, nell’Egitto dei faraoni erano letteralmente venerati e raffigurati a mo’ di quintessenza di divinità del calibro di Bastet e Sekhmet. Un’aura mistica e fatata proseguita nella Grecia e nella Roma antiche. Poi i secoli bui, gli stereotipi, il folclore popolare, le fake news ante litteram.
Il pensiero pseudo-razionale del Novecento si è abbattuto, per inerzia, sulle “mini-pantere”. Ma in fondo almeno al cinema sono state riabilitati più volte, e gli Halloween-Movies non c’entrano: prendiamo Jiji, l’impertinente e solidale gattino nero di “Kiki, consegne a domicilio” dell’immenso Miyazaki, o cinquant’anni prima Figaro, il riottoso felino black di Geppetto nel “Pinocchio” primigenio della Disney. “I gatti lo sanno. Comportamenti incredibili dal mondo animale” recita il titolo di un libro di Giulia Bignami uscito in primavera per Giunti. Lo sanno perché (come scrive nella prefazione Telmo Pievani dell’Università di Padova) “riconoscono persone diverse, i loro stati d’animo, sanno dove si trovano, conoscono i nostri difetti”.
Hanno sette vite secondo il proverbio e non peggiorano di certo la nostra. Casomai ci migliorano, come fossimo sempre bambini, quando cantavamo spensierati ed estatici davanti allo Zecchino d’oro: “Volevo un gatto nero, nero, nero/Mi hai dato un gatto bianco/E io non ci sto più/Volevo un gatto nero, nero, nero/Siccome sei un bugiardo/Con te non gioco più… Volevo un gatto nero/Ma insomma nero o bianco/Il gatto me lo tengo/E non do niente a te”.