Il giorno di Ferragosto del 2022 Alessandro Gaffoglio morì suicida nel carcere Lorusso e Cutugno di Torino ad appena 24 anni, soffocandosi con una busta di plastica. Ora la Procura del capoluogo piemontese ha chiuso le indagini a carico della psichiatra del penitenziario con le accuse di omicidio colposo e responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario: è accusata di aver provocato la morte del ragazzo per “negligenza, imprudenza o imperizia”, collocandolo “dal livello medio di sorveglianza rischio suicidario al livello lieve” in violazione” delle linee guida per la prevenzione del suicidio nel sistema penitenziario adulti e del protocollo locale per la prevenzione del rischio suicidario”. Sempre secondo i pm, poi, la dottoressa ha mancato di somministrare a Gaffoglio alcuni farmaci normalmente associati agli antidepressivi.
Il 24enne era finito in manette ai primi di agosto per due rapine al supermercato, commesse mentre era sotto effetto di stupefacenti. Già dopo una settimana, però, nonostante la sorveglianza a vista, aveva tentato di farla finita con la stessa modalità usata la notte del decesso. Sin dall’adolescenza infatti Alessandro soffriva di disturbi psichiatrici, trattati anche con lunghi ricoveri e terapie farmacologiche, a causa degli abusi familiari subiti prima di essere adottato: di recente aveva trovato rifugio nel crack. “Nostro figlio ha passato l’80% della sua vita in un letto d’ospedale perché non riusciva a metabolizzare i traumi subiti nella prima parte della sua infanzia”, hanno raccontato i genitori adottivi, Monica Fantini e Carlo Gaffoglio, che a indagini chiuse hanno deciso di prendere posizione pubblicamente “affinché quello che è accaduto a lui non accada ad altri”.
Entrato nel carcere delle Vallette, però, era stato classificato come a rischio “medio” di suicidio, dopo pochi giorni declassato a “lieve” per decisione della psichiatra. Come conseguenza gli erano stati restituiti gli effetti personali dentro una busta di plastica, che alla prima occasione aveva usato per provocarsi un’asfissia. “Ci ha dato la notizia un militare con una breve chiamata, ci ha detto di aver saputo dal cappellano che Alessandro si era suicidato e ha subito aggiunto che lo avevano già attenzionato perché era considerato a rischio. Noi di questo non sapevamo niente, anche le modalità del suicidio le abbiamo apprese dalla stampa”, hanno raccontato i genitori. Così come non erano al corrente del primo tentativo, fallito pochi giorni prima.
“In carcere sapevano con chi avevano a che fare, perché nelle loro mani avevano anche una relazione scritta dagli psichiatri del Centro di salute mentale. Eppure hanno deciso di abbassare il livello di guardia”, denuncia l’avvocata Laura Spadaro, che assisteva il ragazzo e ora assiste la famiglia insieme alla collega Maria Rosaria Sciacchitano. L’autorizzazione a entrare in carcere è stata accordata ai genitori solo il 16 agosto, quando Alessandro era già morto. “Se fossimo riusciti a vederlo avremmo fatto di tutto per rassicurarlo, invece lo abbiamo visto solo in una bara. Se avesse capito che quello era solo un momento e che presto sarebbe uscito per andare in comunità, forse si sarebbe salvato”, ha detto il padre.