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Fuori dallo stabilimento Maserati in vendita: Stellantis in fuga, dov’è il patriottismo di Meloni?

Arriviamo a Grugliasco alle 10 e mezza di venerdì, gli operai e le operaie presidiano il primo ingresso della Lear, in corso Allamano, ma è al secondo cancello, quello di via Cumiana da cui entrano i camion con le merci, che la folla è davvero densa. L’adesione dello sciopero è del 90%, i rappresentanti sindacali sono contenti, pur nell’amarezza e nell’incertezza che pervade tutti. Uomini e donne, al freddo da giorni, hanno allestito un gazebo con viveri e bevande calde, sono pronti a un lungo sciopero. Il 31 di dicembre gli ammortizzatori saranno finiti e sul futuro produttivo dello stabilimento ci sono solo presagi nefasti. Più di 400 famiglie attendono col fiato sospeso.

Siamo nel sito produttivo della Lear Corporation, multinazionale americana produttrice di sedili e sistemi elettrici per autoveicoli. I dipendenti sono 410, già progressivamente calati negli ultimi quindici anni a seguito di numerose ristrutturazioni. Qui, la prospettiva di crisi è strettamente legata al destino di Maserati, dopo che quello che doveva essere il nuovo “polo del lusso” proprio a Grugliasco ha chiuso in sordina, senza una parola: tutta la produzione, con i suoi duecento lavoratori, è stata spostata all’interno di Mirafiori.

Lo stabilimento Maserati, costruito nel 1959 dalla Bertone, è stato messo in vendita su immobiliare.it, tra un appartamento appena ristrutturato e una villetta indipendente. Candidato perfetto per diventare uno dei tanti luoghi di abbandono industriale nel torinese. L’ennesima promessa disattesa di “piani industriali ambiziosi” e di “eccellenza mondiale”, sbandierata da Fiat dopo aver acquistato le linee di produzione nel 2009. A dicembre il trasferimento sarà completo e solo alcuni modelli resteranno in produzione. Così, i sedili delle Maserati Ghibli e Quattroporte endotermiche non saranno più fra le commesse di Lear e i delegati sindacali sanno bene che la produzione per le sole automobili Gran Cabrio e Gran Turismo ibride, a oggi non superiore a 20 vetture per giorno lavorato, darà lavoro solo a poche decine di lavoratori su 410.

Oggi serpeggia ancora più rabbia, perché l’azienda, che per tutto questo tempo è stata in silenzio, invece di aprire un’interlocuzione ha messo sotto ricatto i lavoratori e le lavoratrici, richiamando al lavoro circa 270 operai rispetto ai 90/100 al giorno impegnati nelle ultime settimane. Eppure la domanda dei lavoratori è ineludibile: la società ha il dovere di far conoscere il suo progetto per Grugliasco, posto che ne abbia uno. La loro proposta chiara e ragionevole: una diversificazione delle componenti prodotte e un investimento sull’auto elettrica.

“Quando si parla di transizione all’elettrico bisogna avere chiaro che la Lear ha già una divisione che produce centraline, connettori, supporti per le batterie: su queste lavorazioni è forte a livello mondiale” – mi spiega Antonio Gullo, delegato Fiom Cgil. E prosegue: “abbiamo semplicemente chiesto di diversificare la produzione e introdurre quelle lavorazioni anche a Grugliasco. Eppure, i sei giorni di luglio in cui ci siamo confrontati con la società per cercare un accordo sulla competitività e trovare le condizioni migliori per attrarre questi business, si sono risolti in un non accordo: mostrando una posizione del tutto ideologica, l’azienda ha chiesto ai lavoratori una riduzione del salario del 25%, anziché impegnarsi sulla transizione”. È qui il gigantesco vuoto indicibile, su cui le imprese dell’indotto automotive e il grande committente Stellantis scaricano le proprie responsabilità le une sull’altro e viceversa.

A inizio settembre, il tavolo con Stellantis annunciato dal ministro Urso aveva tutta l’aria di un’iniziativa da lobbisti per conservare i vecchi motori. Il mondo dagli anni 90 è cambiato vertiginosamente. La produzione di auto in Italia è passata da quasi un milione e mezzo di veicoli prodotti nel 1999 a 473mila nel 2022. La cassa integrazione dal 2015 al 2022 nel settore automotive da quasi 36 milioni a più di 53. Non solo l’occupazione nel settore è crollata, ma le buste paga italiane sono inferiori a quelle degli altri Paesi europei: nel 2019 lo stipendio medio era di 33.800 euro, in Francia di 47 mila e in Germania di 76 mila euro. Con l’accordo separato con Stellantis di incentivazione all’esodo, siglato nel febbraio 2023, i posti di lavoro persi in Italia saliranno a 11.500.

Dati che il Ministero conosce benissimo. Sa che le diecimila persone che il “Green Campus” annunciato da Stellantis per Mirafiori a Torino sono lo stesso numero degli attuali dipendenti presenti nelle aree di ricerca, sviluppo e design. Non ci sarà nessuna nuova occupazione. Ed è difficile credere che ci sarà una rinnovata attività di ricerca e sviluppo.

La verità è che Stellantis diserta gli incontri al MiMit e non mostra alcuna volontà di confronto sulle prospettive e sulle numerose crisi degli stabilimenti in tutta Italia. Da ben prima delle fusioni che hanno trasformato Fiat in Fca ed Fca in Stellantis (a gennaio del 2021), siamo di fronte alla progressiva fuga di un’azienda che fa profitti sulla pelle degli operai in cassa integrazione. Una fuga che da anni continua a produrre drammi sociali senza che il gruppo se ne assuma alcuna responsabilità. E senza che sia pretesa da nessuno l’elaborazione di una strategia industriale. Il governo Meloni è la continuazione di una lunga stagione di assenza di politiche industriali.

Nel giugno 2022 l’Europa ha stabilito lo stop nel 2035 alla produzione di auto e veicoli leggeri a propulsione endotermica. L’Italia non è al passo con gli obiettivi stessi che si è data. Invece di fare di tutto per raggiungere quell’obiettivo, il governo cerca assi e sponde per allontanarlo, continuando a chiedere a Bruxelles il ritardo del faze out. “Bisogna mantenere la possibilità di produrre e vendere auto e-fuels in attesa che l’elettrico diventi più efficiente e accessibile”, ha dichiarato il Ministro Urso. Tuttavia, procrastinare di un anno o due la fine del motore endotermico non fermerà la crisi produttiva e occupazionale, anzi.

Che ne è dell’accordo siglato con governo e sindacati per la produzione di quattro modelli elettrici entro il 2022? Perché nel frattempo Stellantis progetta nuovi stabilimenti produttivi in Africa, con produzione già avviata in Algeria? Il “Made in Italy” è ormai un lontano ricordo, ciò che resta sono solo le vestigia e i privilegi di una multinazionale che paga pochissime tasse in Italia e che ha già fatto le valigie per l’Algeria.

Intanto, a fine maggio in Francia è stata inaugurata la prima gigafactory europea, nata da una joint venture formata da Stellantis Mercedes e Total Energies. La pressione del governo francese sul gruppo è stata cruciale. Che cosa, esattamente, stiamo difendendo qui? Mentre l’occupazione crolla e si allarga il nostro deserto produttivo, Carlos Tavares, con 19,1 milioni di euro l’anno, guadagna 758 volte lo stipendio di un suo operaio. Ma il governo non solo ritiene una bestemmia chiedergli un contributo in tasse, nemmeno pretende quanto promesso: che si torni a un milione di auto e 300mila veicoli commerciali leggeri prodotti per garantire piena occupazione in tutti gli stabilimenti del gruppo.

Fra dieci giorni le rappresentanze sindacali degli operai della Lear parteciperanno a un incontro al MiMit. Prima di allora, sarebbe bello che la Presidente Meloni venisse a Grugliasco a incontrare chi sta lottando per il futuro dello stabilimento, dando prova concreta del suo dichiarato patriottismo. Ma basterebbe anche meno: basterebbe che la Presidente si presentasse in aula per rispondere ai question time. Non lo ha fatto negli ultimi 6 mesi, lo ha concesso una sola volta in un anno.

Prima o poi dovrà uscire dalla sua ideologia conservatrice fatta di continue richieste di deroghe e rifiuto totale di affrontare le gravi crisi del Paese. Dovrà smettere di irridere chi parla di crisi climatica, tacciandolo di fanatismo. Comincio a svelarle un segreto: i sedili continueranno a esistere anche con la fine del motore endotermico, anche con la transizione all’elettrico. Anzi, proprio nel torinese ci sono aziende di sedili che già oggi investono e prosperano: la Sabelt, per esempio, sta raddoppiando lo stabilimento.

È il momento di spezzare l’autarchia italiana che consente a un monoproduttore, non più italiano, di non produrre in Italia, non pagare le tasse in Italia e disinteressarsi al destino industriale del Paese. Chissà se, per esempio, il patron della Tesla ha letto l’annuncio online di immobiliare.it. Abbiamo visto Giorgia Meloni a braccetto con Elon Musk, perché non lo chiama chiedendo di portare qui la produzione di auto elettriche? Sappiamo che al telefono sa essere più lucida che in pubblico.

[Foto in evidenza: inaugurazione dello stabilimento Maserati di Grugliasco (To) il 30 gennaio 2013]